28 settembre 2011

ALTRO CHE MILLE. Riscoperti da una ricerca 35 mila “garibaldini dimenticati”.

garibaldini%20sul%20Volturno_ Tutti gli storici, nel riferire le vicende straordinarie della spedizione dei volontari di Garibaldi in Sicilia, e di lì la travolgente e vittoriosa avanzata in Calabria e in Campania che portò alla fine del Regno delle Due Sicilie e alla conquista dell’Italia meridionale, scrivono che ai Mille originari (la maggior parte dei quali erano provenienti da Bergamo) si aggiunsero molte migliaia di altri volontari provenienti da tutta Italia, Sicilia compresa, e perfino dall’Estero (anche America e Africa). Ma di questi garibaldini della seconda ondata si sa poco ed è perfino difficile identificare i loro nomi. Anche perché – permettetemi una malizia – in Italia c’è una tendenza secolare a “correre in aiuto del vincitore”, cioè a infiltrarsi nei movimenti ritenuti “vincenti” o a ritoccare retroattivamente la propria biografia. Così per un cinquantennio a guardare le adunate di camicie rosse sembrò che quasi tutti gli Italiani fossero reduci garibaldini, perfino i giovani, così come poi ci fu la gara ad essere fascisti, addirittura “ante-marcia”, e poi, cambiato il vento, tutti partigiani, tutti democristiani, poi tutti comunisti (sempre all’italiana, però), poi tutti leghisti, berlusconiani, grillini e così via, sempre meno eroicamente. Ma torniamo alla ricerca storica sugli aggregati ai Mille.

A questa ricerca (“Alla ricerca dei garibaldini scomparsi”) si sta dedicando un team di ricercatori che lavora su tre imponenti filoni di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino (Mille di Marsala, Esercito Italia Meridionale e Archivio militare di Sicilia), nell’Archivio di Stato di Genova (Prefettura di Genova, e Matrici di passaporti, riguardanti  le concessioni di passaporti rilasciati in Genova a molti volontari delle spedizioni successive a quella guidata dal generale Garibaldi).

Il progetto, riferisce il sito web dell’Archivio di Stato di Torino, è stato condotto con rigoroso metodo scientifico, e si propone di rendere disponibile a un largo pubblico un aspetto del processo unitario del nostro Risorgimento poco noto agli stessi studiosi. E, nonostante questi tempi grami in cui le banche stesse piangono miseria e hanno quasi smesso di finanziare opere culturali, è stato reso possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, con la partecipazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova.

La ricerca non si è ancora conclusa, ma già ha fatto emergere i nomi di circa 35.000 garibaldini. Che dopo una cernita accurata, per ora impossibile, saranno sicuramente un po’ meno, visti gli evidenti “doppioni” o le varianti sospette dei nomi. Ma le fonti disparate e disomogenee non permettono oggi una maggiore precisione.
Un motore di ricerca nella stessa pagina web permette a chiunque, fin d’ora, di cercare, lettera per lettera, eventuali antenati e personaggi noti.

Per quanto ci riguarda, ci sono ben quattro “Valerio”, e se consideriamo l’apporto del grande liberale Lorenzo Valerio, deputato al Parlamento di Torino ai tempi di Cavour, nella cui casa fu composto ed eseguito per la prima volta al pianoforte l’Inno di Mameli e Novaro (v. la voce su Wikipedia che abbiamo redatto), ci rallegriamo che i Valerio abbiano avuto diversi esponenti nel Risorgimento italiano.

Una piccola scoperta è stata fatta nel corso dello studio: sono stati individuati due garibaldini del gruppo originario dei “Mille” del tutto inaspettati, che cioè non erano stati iscritti né nell’Elenco dei Mille sbarcati a Marsala, né nell’Elenco ufficiale, pubblicato nel Supplemento n. 266 della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 12 novembre 1878. Per l’esattezza, si tratta di Guglielmo Gallo, da Molfetta, e Vincenzo Speroni, di Roma (dove era nato nel 1829), già volontario nella 1° guerra d’indipendenza e nella gloriosa difesa della Repubblica Romana nel 1849.

Infine, non solo durante la spedizione dei Mille, ma anche negli anni successivi dello Stato unitario, pochi storici notano che per i volontari Garibaldini, quasi tutti borghesi, spesso giovani studenti, artigiani, artisti e professionisti abituati ad un certo tenore di vita, non tanto le battaglie in sé, ma soprattutto i lunghi e avventurosi trasferimenti imponevano il sacrificio accessorio e mai provato prima della… fame, soprattutto per la disorganizzazione logistica e la carenza nei trasporti. Evidentemente la Nuova Italia si rivelava all’improvviso “troppo lunga” per l’intendenza militare del nuovo esercito italiano. Oppure qualche ufficiale dei Servizi non doveva aver letto Polibio, laddove ritiene essenziale che si vada in battaglia dopo aver fatto colazione, come avevano insegnato i Romani (e come i Greci, anche per questo spesso perdenti, non capirono…).

IMMAGINE. Garibaldini alla battaglia del Volturno. In 25 mila ebbero la meglio su 40 mila borbonici.

JAZZ. Il medesimo brano, Lester Left Town, in 3 interpretazioni dello stesso gruppo: che differenze! Il primo brano dei travolgenti e geniali Jazz Messengers di Art Blakey nel 1960 (6:27) con Lee Morgan alla tromba, Wayne Shorter tenor sax, Art Blakey alla batteria, Jimie Merrit bass, Bobby Timmons piano-arr.. Tratto dal 33 The Big Beat. Ma le riedizioni successive, come questa di 8:43 sono più lente e meno geniali (in più ci sono Dizzy Reece e Walter Davis). Molto diversa, quella rievocativa (ormai senza Blakey) degli anni 80, con Freddie Hubbard alla tromba. Ha acquistato il sapore di una big band standard un po’ pesante (con una front line di ben 6 fiati).

AGGIORNATO IL 6 GENNAIO 2015

Etichette:

07 settembre 2011

SCIOPERO. Il sindacato non capisce che la lotta di classe è interna al ceto medio?

sciopero-generale1 Ancora uno “sciopero generale”. A che cosa, a chi, serve, nel 2011, uno sciopero generale “politico”, come quello che si è tenuto ieri, niente di meno contro la “crisi”, contro i “tagli” e i risparmi di spesa per ridurre il deficit di bilancio dello Stato, contro una legge che vuole ridurre i lacci per le aziende in difficoltà consentendo di assumere più facilmente, in quanto sarà più facile, in casi estremi, licenziare?

Ma poi, è davvero uno strumento utile un rito da “primo Novecento” nel bel mezzo di una crisi europea, anzi mondiale, iniziata da speculazioni finanziarie e avventate pratiche borsistiche permesse con leggerezza incredibile dai Governi occidentali, cioè dalla Politica, ma alimentata da una crisi che è anche economica, e in quanto tale investe soprattutto i produttori, e che ha prodotto anche crollo della domanda e stagnazione? E, ancora, il mito dello sciopero generale serve o no ai sindacati, alla Sinistra, e in fin dei conti alla società moderna europea e occidentale?

Visto che gli editoriali e i commenti dei giornali girano attorno al problema senza affrontarlo di petto, vediamo perché riteniamo, al contrario di molti commentatori, che ogni sciopero politico, e quello generale in particolare, sia ormai inutile e anzi dannoso a tutti, tranne ad un solo soggetto, come vedremo. A tal punto che l’indizione di uno sciopero generale, come quello di ieri della CGIL, basta da solo a esemplificare il grave errore e la posizione ormai auto-referenziale, poco intelligente e ultraconservatrice di questo sindacato, ma anche del sindacalismo in generale in Italia. Una sintesi schematica servirà a fissare meglio i punti più critici. A cominciare da una premessa storico-giuridica:

1. Lo sciopero, mezzo sacrosanto di autotutela dei lavoratori, sancito da tutte le Costituzioni liberali, è stato inventato contro il datore di lavoro, per analogia si è esteso – e si può ammettere – contro i padroni del medesimo comparto industriale, specie se egoisti e ingiusti, và da se, perché altrimenti basta la trattativa o l’accordo contrattuale. Ma lo sciopero non è nato per essere indirizzato contro lo Stato, i suoi organi, o gli altri cittadini. In questo caso, invece, come dicevano striscioni e parole d’ordine, si manifestava soprattutto contro il Governo per alcuni suoi progetti di leggi, impedendo però ai cittadini di viaggiare, di lavorare, di approvvigionarsi di beni, di leggere i giornali (o meglio, alcuni…). Perché la controparte di uno sciopero devono essere gli incolpevoli cittadini?

2. Se lo sciopero invece verte su temi generali (leggi, politica economica, misure fiscali ecc), cioè su temi politici, è a forte rischio di illegalità secondo molti esperti di diritto privato e costituzionale, non tanto perché fa le veci di un Partito (non c’è alcun divieto, ci mancherebbe: i partiti non hanno l’esclusiva della politica), ma piuttosto perché sancisce l’obbligo dell’interruzione collettiva del lavoro, con un danno alla produzione che nessuno risarcirà mai.
Lo sciopero  in tal caso si prende i vantaggi dell’uno e dell’altro, senza i rischi (controllo democratico del voto elettorale, pubblicazione dei bilanci ecc). Dunque quando il sindacato fa il partito può protestare ma senza far assentare la gente dal lavoro.

3. In tempi di crisi economica grave e di rischio di un rafforzamento d’una opinione pubblica di Destra poco o nient’affatto democratica, o comunque di soluzioni populistiche e carismatiche (da Peron a Berlusconi), fare scioperi generali è politicamente un errore grave: perché dà ragione, offre il pretesto, a questa opinione pubblica, e con i disservizi pubblici e privati (p.es. nel trasporto, nel commercio, addirittura nella stampa, soprattutto quella non amica, il che tocca la libertà di stampa e di informarsi) allarga il solco già esistente tra classe media e sindacati (e sinistra), e soprattutto aumenta il divario psicologico tra lavoratori garantiti-che-protestano e non-lavoratori-in-cerca-di-lavoro o disoccupati.

Vallo a spiegare a chi, magari più bravo di te, non trova lavoro, che tu lavoratore a tempo indeterminato fai uno sciopero perché in teoria, in certe condizioni abbastanze estreme (qual è, di norma, quell’imprenditore che licenzia per capriccio un operaio bravo che gli serve e che potrebbe non trovare più sul mercato? suvvia…) potresti anche essere licenziato.

In Italia è ancora un dramma, certo, il licenziamento facile, proprio perché il mercato del lavoro è statico, bloccato. Chi perde il lavoro non è affatto detto che lo riacquisti in poco tempo, anzi. All’estero, e nei Paesi più avanzati, invece (Inghilterra, Canada, Stati Uniti, Germania ecc), è uno dei tanti accadimenti della vita. Solo che lì il mercato del lavoro è più aperto e mobile, e il cambiamento di lavoro non è un dramma: se ne trova subito un altro. (Anche se la cosa è molto meno vera oggi, con la crisi economica dell’intero Occidente).

Insomma, un rischio un po’ più alto di instabilità e licenziamento per chi ha un contratto a tempo indeterminato è pur sempre un piccolo dramma, in confronto alla vera tragedia di centinaia di migliaia di lavoratori a tempo, trimestrali, a settimana, a giornata, e di milioni di giovani e adulti – alcuni addirittura attempati – del tutto privi di lavoro da anni. E’ uno schiaffo. Il sindacato, infatti, si occupa quasi soltanto dei propri iscritti, perfino di chi non lavora più (i pensionati, che anzi ora sono la maggioranza), e invece poco o nulla dei non lavoratori.

Insomma, la cosa appare agli occhi di un’opinione pubblica toccata dalla crisi economica come la tutela dei privilegi di una Casta lavoratrice (tutto è relativo), rispetto al popolo dei non-lavoratori. Il che vuol dire per il sindacato, che oggi raduna solo “vecchi”, cioè lavoratori maturi e pensionati, perdere quei pochi consensi rimasti tra i giovani.

4. E’ proprio la controparte che è cambiata. Il sindacato è talmente arretrato e ottuso che non capisce che oggi la divisione vera di classe non passa più tra operaio e padrone, ma tra lavoratori e non-lavoratori, tra lavoratori protetti e privilegiati e lavoratori occasionali e non protetti. E ogni volta che fa scioperi generali ricompatta, è vero, ed semina entusiasmo tra lavoratori anziani ed ex-lavoratori iscritti, ma diffonde disagio e antipatia tra gli altri, spesso più numerosi, facendo aumentare di migliaia di voti i voti della Destra, a cui tendono ad aderire, appunto, i non-lavoratori, sorretti dai parenti e amici: in totale, milioni di persone.

E’ questo che vuole? Sì, paradossalmente, come sembra ormai accertato. Perché, guardando egoisticamente non oltre il proprio naso, con la Destra al potere un sindacato può protestare, dunque prospera, mentre con la Sinistra si sente imbarazzato, deve frenarsi. In ogni caso il sindacato non tutela gli interessi veri della gente, ma persegue solo i propri. Ma è un egoismo di bottega che dà pochi frutti e solo per poco tempo.

5 [Appendice]. Senza contare che il sindacato è oggi Casta, quindi malvisto, per i suoi grandi privilegi: l’influenza determinante su Parlamento e altri organi dello Stato, i bilanci non pubblicati integralmente, le prebemde dei suoi dirigenti, le tasse ridotte o inesistenti, il personale interno che può essere licenziato senza problemi, le trattenute in busta paga dei lavoratori che di fatto configurano una sorta di iscrizione coattiva, per accennare all’enorme patrimonio, a cominciare dagli immobili, ereditati gratis per legge dai sindacati fascisti.

Insomma il sindacato oggi è Casta, Potere, eccome. Un suo sciopero generale, quindi con finalità politiche, è altamente impopolare, innervosisce un larghissimo strato sociale inter-forze: il ceto medio indifferenziato, le casalinghe, i giovani senza lavoro, gli ex lavoratori disoccupati, gli stessi membri della classe politica. Ed è autoreferenziale. Nel mito dello sciopero generale celebra se stesso: i lavoratori sono quasi un ornamento accessorio. E così sembra fatto apposta per avvantaggiare la Destra più cinica e affaristica (nelle cose proprie), quanto inefficiente (nelle cose di tutti), che non aspetta altro che una scusa, dopo 15 anni di malgoverno, di scandali e di mancate riforme, per vaneggiare di “dittatura della Sinistra” e di “prepotenze dei sindacati”.

JAZZ. l’Orchestra di Teddy Wilson con la cantante Billie Holiday negli anni 40 in tre brani molto eleganti in sequenza: When You are Smiling, in 78 giri molto frusciato ritratto dal vivo,  You're So DesirableIf Dreams Come True (dischi Brunswick originali).

Etichette: , ,