15 marzo 2012

GIMNOSOFISTI. I saggi indiani nudi e asceti che zittirono Alessandro Magno.

I “VIAGGI IN INDIA” DI 2000 ANNI FA. Ma è vero che nell’Antichità i giovani di buona famiglia romani e greci già “andavano in India”, con le medesime motivazioni e inquietudini, e spesso con gli stessi equivoci, di oggi?  E’ vero che, non solo sul piano commerciale via Samarcanda, ma anche e soprattutto sul piano filosofico ed esistenziale, i punti di contatto tra India e Atene e tra India e Roma erano forse più numerosi dei contrasti? E chi, che cosa, cercavano i giovani intellettuali in India anche allora?

ALTRO CHE I GURU FURBACCHIONI!  Intanto erano intellettuali e filosofi anch’essi, e non ragazzi qualunque come dagli anni 60 ad oggi. E poi cercavano le scuole dei “gimnosofisti”, come i Greci chiamavano i saggi dell’India, che vivevano nudi  [in latino
Gymnosophistae,  dal greco Γυνμνοσοfισταί,  lett. "saggi" (sofisthV "nudi" (gumnoi)].  
      Proprio come i sedicenti guru dei giorni nostri, i saggi indiani dell’Antichità (ma allora erano veri e propri filosofi-asceti, coerenti in tutto con le proprie idee, non furbi esibizionisti attenti al soldo, come oggi ci capita di vedere…) attiravano dall’Occidente greco-romano, per il mitico, formativo – già allora – “viaggio in India”, tanti giovani  intellettuali “alternativi” di quel tempo, che in mancanza di torpedoni gialli e crazy bus si accodavano (a pagamento) ai viaggi avventurosi e pericolosi dei commercianti, o (a sbafo) alle più protette carovane di retrovia che seguivano gli eserciti. Spesso quei giovani intellettuali tornavano vegetariani, cultori della filosofia indiana e magari “nudisti devoti”.

Sadhu nudo con capelli e barba mai tagliati in equilibrio (picc.)MA CHI ERANO QUESTI MITICI GIMNOSOFISTI? Erano i saggi dell'India, una sorta di casta sopra le caste. «Tutti gli Indiani sono divisi in sette caste», riporta lo storico Arriano. «Di queste quella dei sapienti è la più piccola ma più riverita (Οι παντες Ινδοι νεμεμηνται εις επτα γενη. Εν μεν αυτοις οι σοφισται εισιν, οι παρα τοις Ινδοις περι πολλου ποιουνται). «Liberi da lavori manuali e da ogni obbligo verso lo Stato, non hanno altro dovere che fare pubblici sacrifici agli Dei per il popolo indiano, e se anche un privato vuole fare sacrifici, deve sovrintendervi un saggio, come se in altro modo non piacessero agli Dei. I sapienti sono gli unici in India a conoscere la divinazione, e solo a loro è permesso di praticarla. Fanno vaticini sulle stagioni dell’anno e se sta per arrivare una disgrazia pubblica, ma non prevedono fatti privati, o perché la divinazione non si abbassa alle piccole cose o perché non sarebbe degno di loro. Se qualcuno di loro sbaglia per tre volte le previsioni deve, senza nessun’altra punizione, tacere per sempre nella sua arte, e nessuno può obbligarlo a rompere il silenzio se vi sia condannato. Stanno nudi, questi sapienti, in inverno, sotto il sole aperto, ma in estate quando il sole brucia, in luoghi bassi e freschi ai piedi di grandi alberi, dei quali – tanto ve ne sono di grandi – qualcuno secondo Nearco fa un’ombra larga cinque plettri, così che mille persone vi si raccolgono. Mangiano i cibi delle stagioni e la scorza degli alberi nutritiva e dolce, e anche i frutti delle palme» (Lucius Flavius Arrianus, 95-175 dC, dal suo Historia Indica, resoconto della spedizione in India di Alessandro).
      Tra questi strani filosofi-asceti c'erano quelli che rispondendo ad un indovinello-trabocchetto riuscirono ad azzittire il potente e colto Alessandro Magno e a fare proseliti perfino tra i suoi ufficiali. Per questo, occorre fare un piccolo passo indietro. Seguiamo la campagna militare in India del re Alessandro III il Macedone, detto “Alessandro Magno” (356-323 a.C.), e fermiamoci nella città di Taxila dove incontra i filosofi locali che aveva fatto arrestare. 

ALESSANDRO? UOMO "TURPISSIMO" E CRUDELE.
Ma che uomo era il re Alessandro, mitizzato dalla agiografia nazionalistica greca, perché l’unico greco “vincente” in una Storia greca di perdenti? Più attendibili i Romani. Cicerone lo definisce uomo saepe turpissimus (cioè quanto di più ignobile e abietto ci fosse), altro che sovrano retto e illuminato. Insomma, peggio di suo padre Filippo che aveva almeno qualche tratto di umanità. Anche lo storico Tito Livio e lo scrittore e moralista stoico Seneca lo giudicano male, il primo per politica e tecnica militare, il secondo in senso anche morale e psicologico. Alessandro era un uomo crudele, spesso ubriaco, malvagio con i suoi stessi fedeli amici. Gli episodi del nobile Lisimaco costretto ad affrontare un leone, il fedelissimo Clito ucciso durante un banchetto, e l’assassinio dello storico Callistene che non sopportava i furori del re, stanno a dimostrarlo. Il sadismo nei confronti dei gimnosofisti era dunque “normale” per un carattere iroso e dispotico del genere, e di conseguenza il confronto tra un simile campione di crudeltà e i saggi campioni di non-violenza non poteva essere più drammatico.

L’INDOVINELLO DELLA VITA E DELLA MORTE. “Se volete salva la vita – doveva aver detto Alessandro – ditemi, o saggi indiani, e nel modo più arguto e curioso possibile, se sono più numerosi i vivi o i morti; se nutre animali più grossi la Terra o il mare; qual è l’animale più astuto; perché voi gimnosofisti avete incitato il re Sabba alla rivolta; se è venuto prima il giorno o la notte; in qual modo ci si può far amare in sommo grado; come un uomo può diventare Dio; se è più potente la vita o la  morte; fino a quando è bene che un uomo viva”.
      Questo l’indovinello in nove domande – stando allo storico Plutarco – proposto dal giovane e arrogante condottiero (colto e amante della filosofia, ma crudele) che stava invadendo l’India a dieci malcapitati filosofi. Insomma, o i saggi rispondevano (una domanda ciascuno) ai quesiti impossibili di Alessandro in modo brillante, tanto da stupirlo intellettualmente, oppure sarebbero morti.

      La raffinata pena viene escogitata dal re Alessandro il Macedone [Alessandro Magno] proprio per punire dieci “gimnosofisti”, filosofi e asceti Hindu fatti prigionieri perché avevano istigato alla resistenza il re indiano Sabba e le popolazioni locali.  La regola del gioco intellettuale, però, è crudele: chi risponderà peggio morirà per primo, poi di seguito tutti gli altri. Ma chi deciderà sulle risposte? Il decimo gimnosofista, a cui il re macedone affida il compito più ingrato: fare da giudice, cioè dare un giudizio sulla bontà delle risposte dei nove compagni di sventura. 

UNA BATTAGLIA TRA ASTUTI. 
Ascoltate le astute risposte dei nove colleghi (De Bernardi, cit. più avanti, nota 12), che cosa s’inventa il decimo gimnosofista comandato “giudice”? Ricorrendo ad ogni artificio dialettico cerca di sventare la minaccia. Dice infatti: “Re, in verità ogni risposta è stata peggiore della precedente”. “Ma se è così – replica il non meno pronto Alessandro – l’ultimo,  quello del giudice, è il verdetto peggiore. E allora, sarai proprio tu, giudice, a dover morire per primo”. Ma il gimnosofista giudice non ci sta, e argomenta più o meno così: “Non è possibile, o Re, perché – salvo che tu non fossi mentitore – avevi detto che sarebbe morto per primo chi avesse risposto peggio. Ma, come vedi, avendo risposto uno peggio dell’altro, nessuno di loro può essere indicato come primo”.
      Secondo altri, invece, il gimnosofista-giudice per salvarsi sarebbe ricorso ad un trucco logico analogo a quello del famoso “paradosso del mentitore” (v. qui sotto in nota 1), rispondendo così: “Se nel mio verdetto, o Re, sono stato cattivo, vorrà dire che ho ben giudicato, perciò non merito la morte. Se invece ho mal giudicato, il mio verdetto non è cattivo, e ugualmente non merito la morte”. In effetti, a pensarci bene, un verdetto “buono” o “cattivo” è quello indulgente che assolve o quello severo che condanna? In altre parole, sarà “ottimo” o “pessimo” a seconda che sia visto tale dall’imputato o dalla Legge. In questa incertezza semantica si era insinuata la furba risposta del filosofo gimnosofista.
      
E COSI’ EBBERO SALVA LA VITA. Alessandro, che fosse vera la prima o la seconda risposta, sarà stato certamente colpito dall’arguzia dei nove gimnosofisti e dall’accortezza del decimo. E non potendo decidere la prima delle dieci condanne, neanche le condanne successive poté ordinare. Così, non essendo in grado di far eseguire la condanna, lascia liberi i saggi gimnosofisti. Anzi, li rimanda da dove erano venuti carichi di doni, conclude P. Magnone nel saggio La risposta di un gimnosofista al quesito di Alessandro sull’origine del tempo: dottrina indiana? 2

Naga-sadhu (picc.) (H.Kumar)MA ANCHE L’OCCIDENTE AVEVA I SUOI GIMNOSOFISTI. Intanto, va premesso che già allora vigeva nel Mondo conosciuto un certo grado di “globalizzazione”, sia pure con tempi più lenti rispetto ad oggi. Come Romani e Greci avevano sentito dire dei saggi indiani, anche i gimnosofisti conoscevano – e lo dicono subito incontrando gli stranieri occidentali – i filosofi greci. E quindi sanno anche che l’Occidente ha i suoi asceti negatori della civiltà moderna e contestatori dei mores condivisi, insomma i suoi “gimnosofisti”.

CHI ERA L’UOMO DETTO “IL SOCRATE PAZZO”. Un esempio è Diogene di Sinope (412-323 a.C.), l’eccentrico asceta che in spregio delle comodità, del lusso, del rispetto umano, delle convenzioni dell’uomo “moderno” (già allora!) e perfino dell’igiene e della decenza, si vantava di poter vivere dentro una botte vuota, cioè il riparo più piccolo possibile, e senza alcun avere, cioè nudo, perché – diceva – l’uomo non ha bisogno d’altro. Fu soprannominato dai concittadini il “Socrate pazzo” e trattato più o meno come un barbone. Eppure, doveva essere un guru che aveva grande presa sui giovani “alternativi” e “anticonsumisti” (diremmo oggi) dell’epoca, facilmente portati all’entusiasmo e molto influenzabili, come tutti i giovani di tutte le epoche. La sua filosofia era il cinismo (dal gr. κύων -κυνός = cane), così chiamata, non si sa se dagli avversari o dai discepoli, perché l’uomo in fondo, secondo il maestro, non aveva più esigenze di un cane, e poteva vivere proprio come un cane, in tutti i sensi, perfino facendo i suoi bisogni dappertutto, perfino sulle scalee d’un teatro, senza alcun riguardo alle ipocrisie e convenzioni (come la “educazione”) degli uomini. Insomma, ben altra pasta del ricco ed elegante guru arancione Osho Rajneesh!

Naga indiano
IL COLTO ONESICRITO E I SUOI FIGLI. Un altro Diogene, lo storico Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, scrivendo dell’entusiasmo che il suo omonimo ma sporco filosofo sapeva creare attorno a sé, parla del curioso caso di Onesicrito di Egina, il quale mandò ad Atene un suo figlio che, preso dall'eloquenza di Diogene, non volle più allontanarsi da lui. Onesicrito mandò allora un altro figlio per convincere il fratello a tornare dal padre, ma anche questi volle rimanere. Onesicrito allora si recò personalmente ad Atene per vedere che cosa stava accadendo. E così conobbe Diogene, e ne fu così affascinato da diventare uno dei suoi discepoli più convinti e fedeli. In realtà, gli Onesicrito dovevano essere due, ed entrambi allievi di Diogene, secondo il filosofo G. Reale. Infatti, un Onesicrito da Astipalea (375 ca.-300 a.C.), storico per la verità non sempre affidabile, consigliere e a suo dire timoniere della flotta di Alessandro Magno, ha lasciato scritto di avere accompagnato il re-condottiero in Asia.
      Tra la fine del marzo e il principio dell'aprile del 326 a.C., una volta giunti in India, Alessandro Magno, che conosceva l’adesione di Onesicrito al movimento di Diogene, lo inviò per competenza a un incontro con i gimnosofisti.


alessandro magno
IL FAMOSO INCONTRO TRA GIMNOSOFISTI E MACEDONI.  A due miglia dalla città di Tassila o Taxila (Taxila in greco, Taksasila in sanscrito), presso il fiume Indo, nel Gandhara, vicino all'attuale Rawalpindi, città in cui Alessandro poteva contare sull'amicizia del re locale, secondo gli storici Plutarco (Vite parallele: Alessandro) e Strabone (Commentari storici), Onesicrito si trovò davanti a una quindicina di uomini nudi, sdraiati per terra, tra cui un certo Calano (secondo fonti indiane potrebbe coincidere col noto saggio Kalyana) e un certo Mandanis (o Dandamis o Mandana), che quando apparve quel buffo visitatore straniero vestito di tutto punto, col caldo che faceva, indossando anche un cappello macedone, stivali al ginocchio e mantello, scoppiarono fragorosamente a ridere. Lo invitarono perciò a spogliarsi nudo, se voleva parlare con loro. 
Naga baba dello Juna Akhara (Shyam Giri e Ram Giri)      Ma il calore del sole era tale che Onesicrito, nel timore di scottarsi, esitava a togliersi i vestiti. Il saggio più anziano allora lo scusò, e cominciò a parlare dapprima lodando Alessandro, guerriero ma anche amante della cultura, e poi a chiedere notizie di Socrate, Pitagora e Diogene [segno, quindi, che anche allora le idee circolavano rapidamente], uomini saggi e dabbene secondo lui, ma troppo aderenti alle convenzioni sociali [anche Diogene?] e poco attenti alla natura. Ecco, quindi, la prima differenza sostanziale: la Natura. Da questo colloquio, comunque, Onesicrito si convinse che i gimnosofisti erano molto vicini alla dottrina nota in Occidente come “cinismo”. I gimnosofisti, poi, arrivati a Tassila, pranzarono con Alessandro.
      Da notare che l'incontro di Alessandro con i gimnosofisti – rileva G. Giacometti – è successivo alla sconfitta del re indiano Poro (Paurava) sul fiume Idaspe (Vitasta) nell'attuale Pakistan. Secondo le fonti greche, Alessandro fino ad allora non aveva esitato ad uccidere i filosofi indiani che, a differenza dei rispettivi sovrani, avevano organizzato la resistenza contro di lui [Plutarco, Vita di Alessandro]. Ma nella primavera del 326 l'incontro con i gimnosofisti fu pacifico. Esso avvenne, come già detto, nei pressi di Tassila. E ci sarebbero stati diversi scambi di battute tra Alessandro e due brahmana (bracmaneV  in greco), di cui uno – Calano, appunto – lascia le sue pratiche ascetiche per seguire il re macedone [Strabone, Geografia].

Donna Hindu massaggia vecchio santone nudo indiano sadhu
FIGURA ED EROICA MORTE DI CALANO, IL GIMNOSOFISTA PIU’ FAMOSO. Tra di loro, il vecchio Calano, di 73 anni, spinto dal re di Tassila e  disobbedendo al maestro Mandanis, decise di unirsi alla spedizione di Alessandro per consigliarlo a non fare azioni militari avventate (Plutarco). Secondo Nearco, infatti, in India è costume che i saggi si occupino anche degli affari di Stato e consiglino i re (Strabone). La sua, quindi, era una missione politico-diplomatica. Il che, però, esclude che i gimnosofisti fossero tutti asceti lontani dal mondo e votati all’atarassia. Calano tenne durante il viaggio lezioni agli ufficiali macedoni interessati alla sua filosofia, tra cui Lisimaco. Ma a Pasargade (Persia) si ammalò per la prima volta nella sua vita, e temendo di non poter più assolvere ai suoi compiti di gimnosofista, decise di togliersi la vita, contro il consiglio dello stesso re Alessandro. Fattasi preparare una pira e fatto accendere il fuoco donò il cavallo a Lisimaco e gli altri suoi averi agli altri allievi (Arriano), poi salì sul cumulo in fiamme e recitando inni agli Dei si fece bruciare vivo, senza un lamento, sotto gli occhi insieme terrorizzati e ammirati dei presenti. E mentre Calano bruciava – riferisce Nearco – le trombe suonarono, l’armata schierata dei Macedoni urlò il grido d’onore alalh (da cui alalà), e gli elefanti, anch’essi schierati per ordine di Alessandro, barrirono. Così quei saggi, perfino militari, d’Occidente rendevano onore a un saggio d’Oriente.

sadhu naga con lunghissimi capelli al bagno“APATIA” COME INSENSIBILITA’ TRASCENDENTALE. Una morte epica che impressionò molto Pirrone e gli altri, e che fu poi tramandata nell’intero mondo greco-romano come simbolo di una απάθεια o insensibilità al dolore d’allora in poi attribuita tipicamente ai gimnosofisti (cfr. però l’ammirazione dei Romani per l’analogo gesto del quirite Muzio Cordo, detto Scevola, cioè il mancino, che senza un lamento si fece bruciare la mano destra, che aveva sbagliato nel colpire il re Porsenna) e che fu fatta propria anche dagli allievi europei dei saggi indiani, compresi Pirrone e Anassarco. Quest’ultimo, anni dopo, fatto torturare a morte dal tiranno Nicocreonte, professò anch’egli la sua απάθεια proclamando che quello che stavano bastonando non era che il suo sacco, e che il vero Anassarco non era lì. Parole, concetti e insensibilità al dolore che gli venivano dai maestri gimnosofisti, soprattutto dal vecchio Calano (P. De Bernardi nel fondamentale saggio “Pirrone e i maestri indiani”).

CHI E’ IL GIMNOSOFISTA PER I FILOSOFI: ECCO LE DEFINIZIONI. Ma chi è davvero il gimnosofista? Il nome greco è evidente “allusione sia all’unione di sapienza e dottrina, sia all’esercizio di pratiche ascetiche che comportavano una nudità totale o parziale” [Enc. It. Treccani]. Ma, secondo lo studioso indiano Basham (Nota 3), la setta gimnosofista degli ajivika aveva fatto un vero e proprio “voto di nudità”: quindi la nudità deve essere considerata un elemento essenziale, non secondario, dell’essere gimnosofisti, e non ristretta solo a certe pratiche ma estesa alla vita quotidiana. Come del resto denota il nome stesso. In quanto al resto, “gli storici al seguito del re [Alessandro, in Asia] ne descrissero la vita in comunità appartate” [Treccani, cit.]. Il gimnosofista seguiva, insomma, “forme di vita dedite ad ascetismo e filosofia”. E ancora: “secondo i filosofi greci e romani”, era un “asceta indiano che viveva nudo nei boschi” [A. Gabrielli, Gr. Diz. della Lingua It.]. E secondo lo scrittore greco Arriano, più originale,  nonostante il loro conclamato estremo spiritualismo, erano sapienti  “che dimostravano la propria sapienza attraverso il corpo”.  Definizione, questa,  molto acuta, “naturistica”.
      In Europa ne parla anche Giordano Bruno nell’introduzione del De Magia, laddove elenca i vari saggi o maghi nel mondo allora conosciuto: «Magus primo sumitur pro sapiente, cuiusmodi erant Trimegisti apud Aegyptios, Druidae apud Gallos, Gymnosophistae apud Indos, Cabalistae apud Hebraeos, Magi apud Persas (qui a Zoroastre), Sophi apud Graecos, Sapientes apud Latinos». I gimnosofisti erano considerati, insomma, dal religioso occultista Bruno, che riflette il pensiero dominante del Seicento, i più tipici saggi e maghi dell’India, l’equivalente dei filosofi in Grecia, dei druidi in Gallia, dei cabalisti in Israele, dei maghi in Persia, dei sapienti a Roma, dei trimegisti in Egitto.      
Devoti Naga Sadhus in processione al Kumbh Mela del 1998 Questi antichi filosofi Hindu perseguivano l’ascetismo al punto da considerare anche il cibo (cfr. Porfirio, De abstinentia et esu carnium) e i vestiti come elementi capaci di sporcare la purezza del pensiero. Dal fatto che spesso vivevano come eremiti nelle foreste, i Greci li chiamavano anche hylobioi (cfr. i Vāna-prasthās delle scritture in sanscrito). Diogene Laerzio riferisce di loro, e afferma che Pirrone di Elide, ritenuto fondatore del puro scetticismo, cadde sotto la loro influenza, e al suo ritorno a Elide si mise ad imitare i loro costumi di vita. Strabone divide i gimnosofisti in brahmani e sarmani (o shamani) [Enc. Britannica], oggi definiti dagli studiosi “shramana”, e questi ultimi li divide ancora in aranyaka e “medici”.
      In realtà, i gimnosofisti incontrati da Onesicrito e Alessandro potrebbero essere stati degli ajivika, setta fatalista non bramanica famosa per il voto di nudità e il più rigido ascetismo, secondo il fondamentale studio dell’indiano moderno A. L. Basham***. Infatti questa setta aveva un’accentuata tendenza alla natura (bhava), unita però nel paradigma delle stigmate dell’Uomo al destino (niyati) e al caso (samgati). Nel senso che la Natura, insieme al Caso, era considerata il vero destino degli umani. E la radice sanscrita bhu di bhava (natura) è proprio la stessa (fu) della parola greca FusiV  (natura). Ancora un legame tra le due filosofie e i due Mondi. Non meraviglia, quindi, l’ipotesi di una possibile influenza ajivika sulla cultura ellenistica, sia nella filosofia stoica, non per caso sorta e diffusasi proprio dopo la spedizione di Alessandro Magno, sia, molto più tardi, nella filosofia di Plotino.

Sadu_Kathmandu_2006_LGaluzzi (picc)LA QUESTIONE DELLA CORPOREITA’ E DELLA NATURA. I gimnosofisti, nella visione stereotipata e intellettualistica che ne ha dato l’Occidente prima tardo-pagano e poi cristiano, sembrano impersonare tra i saggi del Mondo quelli che più disprezzano il corpo e la Natura. E invece, paradossalmente, con questa curiosa insistenza a esporlo, a dipingerlo, a ornarlo di segni e colori rituali, a bagnarlo nelle acque del fiume sacro, proprio nel corpo, sia pure “purificato”, finiscono per annullarsi e identificarsi. E gli stessi gimnosofisti ne hanno consapevolezza, e lo fanno notare ai visitatori greci. La Natura manca, dicono, ai filosofi occidentali. Perciò “veri saggi”, perché in comunione con se stessi e l’ambiente, mentre i nostri filosofi e teologi disprezzando la Natura e cancellando il tramite con la Natura che è il corpo, mostrano di non capire né se stessi né l’ambiente: sono “saggi ignoranti”.
      Ecco perché, in questo senso del recupero della corporeità e della nudità atavica, sia pure con modalità paradossali e allo scopo di esibire il disprezzo del superfluo e la povertà dei beni materiali, abbiamo citato e divulgato per la prima volta tra il largo pubblico, nel 1980, il fenomeno dei gimnosofisti, allora noto solo a pochi studiosi specializzati (N. Valerio, Guida al Nudo), sottolineando due fattori caratteristici della nudità degli Antichi: la estrema immagine della povertà, e il simbolo di una religiosità penitente e catartica (cfr. Francesco di Assisi che si spoglia dei ricchi abiti davanti a tutti, resta nudo, e cambia vita), che si ritrova non solo nei proverbiali modi di dire antichi europei, ma anche tra i pensatori (cfr. Montaigne nei suoi Essais: “Quanti devoti vanno nudi nelle strade in Asia!”).

NUDITA’ COME PREFERENZA ALLA NATURA, PIUTTOSTO CHE ALLA LEGGE. E' vero che la nudità, così come la fermezza nell'ascetismo che tanto colpiva i macedoni si ritrovava – spiega G. Giacometti nel saggio  sugli Studi giainici e il problema dei gimnosofisti (Nota 4) –  non solo presso i jaina (noti come giainisti), ma anche presso altre sette non bramaniche e gruppi interni all'ortodossia vedica, ma, ciò che non è stato sottolineato a sufficienza, essa sembra legarsi strettamente presso i gimnosofisti alla preferenza accordata alla FusiV, cioè alla Natura, rispetto al NomoV, alla Legge. E' per tale ragione che Mandanis, il più autorevole degli asceti, poteva riconoscere la somiglianza della propria sapienza con quella di Socrate, Diogene e Pitagora, ossia con quella espressa dalla tradizione naturalistica dei socratici, dei cinici e dei pitagorici. Ciò non impediva al saggio indiano di rimproverare loro, appunto, l'eccessivo ossequio al Nomos, difetto che egli riconosceva nella mancata adozione da parte del cinico Onesicrito della regola della nudità.

Adamiti e Carpocratiani sterminati (piccola)SOPRAVVIVONO I GIMNOSOFISTI NELL’INDIA DI OGGI?  Curiosamente, i monaci jain Digambar in India, che ancora oggi rimangono nudi, sono stati identificati da secoli come i probabili eredi dei gimnosofisti da diversi autori. Il cinese Xuang Zang, per esempio, riferì di aver incontrato monaci jain Digambar a Taxila durante il suo viaggio in India nel VII secolo d.C. , proprio nella medesima regione del Punjab dove Alessandro aveva incontrato i gimnosofisti. Ma oggi, come luogo comune, qualunque devoto indiano appena acculturato indica negli asceti ed eremiti Naga [nudi] Sadhu, detti anche popolarmente Baba, e nei saggi Yogi, se non i continuatori almeno gli analoghi moderni di quegli antichissimi saggi nudi. Ma i gimnosofisti, come concordano le fonti antiche, erano anche e soprattutto dei filosofi, degli intellettuali, talvolta addirittura dei consiglieri del principe, non o non solo degli eremiti, tantomeno dei reietti della società o dei “fachiri”, come pure si legge.
      Insomma, i gimnosofisti erano agli occhi dei viaggiatori greci, e tali sono rimasti nei miti dell’Occidente, il non plus ultra insieme della saggezza e del buonsenso, oltreché dell’ascetismo Hindu. Dediti all’astinenza dalla carne e alla meditazione, consideravano il cibo e i vestiti come ostacoli alla purezza del pensiero, e in considerazione di ciò potrebbero avere degli eredi, sia pure molto parziali, ripetiamo, negli attuali sadhu, naga e saggi yogi, solo ombre dei grandi veggenti rishi dell’età vedica.  Anche se bisogna distinguere tra l’ascetismo e l’eremitaggio come rinuncia, l’apatia come trascendenza dei sensi, e l’intellettualismo filosofico del saggio che interviene nella società, addirittura assume incarichi di stato (cfr. la missione di Calano) e diventa perfino consigliere del principe.  Insomma, esistevano varie categorie di gimnosofisti. Una duplicità o ambiguità nota già a Strabone (v. oltre), che andrebbe chiarita e approfondita.

ASCETI E ATTIVISTI. Ma i gimnosofisti incontrati da Onesicrito erano o no brahmana, cioè devoti di Brahma in senso stretto? Forse no, a differenza dei primi due personaggi incontrati a Taksasila da Alessandro, indicati esplicitamente come bracmaneV.  Infatti – scrive Strabone – bisogna distinguere, parlando dei sapienti indiani tra attivi e contemplativi: «Nearco, a proposito dei sapienti indiani, dice che sono di due tipi. Gli uni fanno politica in quanto brahmana e si accompagnano ai re come consiglieri, gli altri osservano le cose della natura. Uno di costoro fu anche Calano. Facevano filosofia con loro anche le donne, e di tutti era propria una vita austera». “Coloro che, addirittura uomini e donne insieme (in una sorta di cenobio), osservavano la natura e, verosimilmente, ne seguivano l'esempio, piuttosto che seguire la via della legge, del costume e della politica, erano dunque – possiamo intendere – diversi dai brahmana”. Infatti, secondo Nearco che riferisce lo storico Strabone, in India è d’uso che i saggi si occupino anche degli affari di Stato e consiglino i re.

COLLEGAMENTI CON PITAGORA, STOICI, SCETTICI E CINICI. I rapporti con la cultura filosofica occidentale sono quindi più stretti di quanto si possa immaginare. La cultura, le idee, hanno sempre valicato le frontiere. Tanto è vero che, nel famoso dialogo, lo stesso gimnosofista Calano, interrogato da Onesicrito sul suo ascetismo e le sue abitudini, risponde che anche il filosofo greco Pitagora prescrive pratiche analoghe, raccomandando anche di astenersi come cibo da esseri viventi. Come a dire:  non sei informato; siamo noi indiani, anzi, che ci meravigliamo della meraviglia di voi greci. Insomma, gli indiani accusano i greci di provincialismo. Con questo confermando anche una tesi degli studiosi, che cioè pitagorismo e brahmanesimo avessero ascendenze comuni. (C. Fucarino, Pitagora e il vegetarianismo).  Apollonio da Tiana (Cappadocia, I sec. d.C), studioso e frequentatore dei gimnosofisti in Egitto e in India, aveva fatto della teosofia di Pitagora il centro del suo pensiero, tanto da essere considerato il maggior esponente del Pitagorismo. “L'accenno alle affinità tra i saggi indiani e Pitagora è particolarmente importante se assumiamo l'ipotesi che vede in essi dei jaina”, scrive Giacometti. Ma per i filosofi greci lo stesso Pitagora doveva aver avuto rapporti con l’India dei gimnosofisti, e del resto Filostrato nella sua Vita di Apollonio di Tiana aveva definito gimnosofisti anche i sacerdoti nudi dell’Etiopia, ritenendo che provenissero dall’India.

INFLUENZA DELL’OCCIDENTE SULL’INDIA. I rapporti tra India e Occidente non furono solo ad un senso. I militari e filosofi greci prima, e soprattutto i commercianti e importatori romani poi, come sempre accade, impararono ma insegnarono anche. Dagli Indiani i conquistatori Greci erano chiamati Yavana (trascrizione di iāones o iāvones, cioè Ioni). La loro influenza non cessò dopo la ritirata dell’esercito di Alessandro. Arrivarono, com’è noto, a fondare un regno indo-greco, con un basileus Menandro, e influenzarono molti aspetti della cultura indiana, come testimoniano monete, reperti archeologici, monumenti, letteratura, arte (la stessa rappresentazione del Buddha secondo i canoni della statuaria greca), la scrittura dei numeri. Più regolare e prolungata nel tempo, ovviamente, l’influenza dei Romani, le cui grandi navi mercantili andavano dappertutto, anche nell’oceano Indiano, e che lasciarono parecchie impronte nella cultura dell’India. Ne basti ricordare una, un’opera di astronomia indiana antica che non si preoccupava di nascondere l’origine occidentale, anzi, riportava perfino nel titolo il nome romano: Romāka Siddhānta o Dottrina dei Romani, basata su opere scientifiche occidentali (‘Romani’) (Nota 5).

VEGETARISMO. Sono stati identificati coi gimnosofisti quei brachmani o brahmani (in italiano, nome poi deformato nei saggi “bramini”) della religione Veda che non solo restavano nudi, ma che anche Porfirio menziona che vivevano unicamente di latte e di frutta. La duplice influenza Occidente-Oriente, tra Pitagorismo e Gimnosofismo, spiega anche la penetrazione della pratica vegetariana a Roma e ad Atene. Apollonio, tipico filosofo trait d’union tra le due culture, infatti divenne subito vegetariano, sostenendo che il cibo più puro è quello prodotto dalla Terra e che la carne erode e affatica l’Anima. Dai suoi pasti, molto parchi, escluse anche il vino (Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana). “La concordanza con Pitagora – scrive Giacometti – si riferisce tanto all'osservanza, condivisa sia dai gimnosofisti, sia dai pitagorici, di una rigorosa dieta vegetariana, quanto, verosimilmente, alla dottrina della trasmigrazione della anime. Ora, la pratica vegetariana e la dottrina della metempsicosi, come è noto, sono strettamente connesse, nel giainismo, a una nozione ateistica o, almeno, teologicamente agnostica dell'essenza dell'anima (jiva) che non si discosta di molto da quella orfico-pitagorica. Si pensi ai frammenti nei quali Empedocle di Agrigento, di cui si tramanda che fosse stato iniziato alla filosofia pitagorica, mostra di aborrire lo spargimento di sangue animale caratteristico dei sacrifici religiosi”.
      Il vegetarismo dei gimnosofisti non fa breccia tra i cristiani. Forse perché nel cristianesimo permanevano residui del culto di Iside (cfr. nascita del Dio in una caverna e nel solstizio d’inverno), i cui adepti non erano affatto vegetariani? Fatto sta che il curioso accostamento tra cristiani, gimnosofisti e culto di Iside è fatto da un grande teologo cristiano (v. oltre). Certo, in nessun altro luogo, tranne che nelle Corti, si è mai mangiata così tanta carne e pesce come nei conventi e nelle comunità cristiane. Anzi le rare “regole” vegetariane furono represse o mal tollerate dalla Chiesa (M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza 1988). Una rara adesione al vegetarismo dei gimnosofisti è quella dell’erudito illirico Sofronius Eusebius Hieronymus (347-420 d.C.), poi diventato per la Chiesa “San Gerolamo”, contemporaneo dei gimnosofisti, che visse da asceta nel deserto ed esortò i “veri cristiani” al vegetarismo. “Ciò che i bramani dell’India ed i gimnosofisti dell’Egitto osservano, cibandosi unicamente di farina di orzo, di riso e di frutta – scrive a una vedova che doveva educare la figlia – perché una vergine di Cristo non deve farlo in modo completo? Si cibi di legumi, di semola… e lo facciano anche i seguaci di Iside e Cibale, i quali, nella loro ghiotta astinenza, divorano fagiani e tortore fumanti” (Nota 6).

ESEMPI DI AUSTERITA’. Anche Pirrone, il giovane greco di Elide esponente della scuola scettica, già nominato, che fu al seguito di Alessandro in India per 10 anni, dal 334 al 323, ebbe secondo Diogene Laerzio contatti sicuri con gimnosofisti, brahmani e saggi indiani, e con maghi persiani, come riporta De Bernardi nel citato saggio “Pirrone e i maestri indiani”): toiV gumnosofistaiV en India summixai kai toiV magoiV. oqen gennaiotata dokei filosofhsai. Nell’iconografia antica, fino al Seicento, esistono pitture su Pirrone, seminudo, che rifiuta i regali del re Alessandro, con l’austerità d’un gimnosofista d’Occidente. Non per caso, Apollonio da Tiana che viaggiava scalzo e indossava lunghe tuniche di lino bianco come gli adepti della Comunità degli Esseni, scelse la povertà, distribuendo tutti i suoi beni ai familiari, riferisce Filostrato. Studiò e meditò per quattro anni senza mai parlare in pubblico, esprimendosi con gli occhi e i gesti. Durante la sua permanenza in Egitto ebbe contatti con i gimnosofisti del luogo, rilevando la somiglianza delle loro scelte di vita – come l’abbandono di tutti gli averi – con quelle degli asceti indiani. Si recò anche in India dove conobbe e frequentò brahamani e asceti, soggiornando nei monasteri e perfino nella mitica regione di Shambhala, luogo degli Illuminati che alcune fonti situano ai piedi della catena dell’Himalaya, raggiungibile solo da iniziati. Ma anche a seguire l’ipotesi che i gimnosofisti fossero in realtà membri della setta ajivika, l'etimologia di questo nome significherebbe «colui che sopravvive senza mezzi di sostentamento». Il che andrebbe d’accordo con la nota scelta della povertà dei gimnosofisti, che predicavano la necessità di accontentarsi di poco o nulla (cfr. Piantelli, in Giacometti cit.).

I PIU’ RADICALI: ECCO COME REDARGUISCONO IL RE. Che i gimnosofisti indiani, nonostante la vicinanza di alcuni loro col Potere, fossero meno integrati, meno rispettosi dei gradi e delle convenzioni della società, insomma più radicali e fondamentalisti rispetto agli omologhi filosofi occidentali, è testimoniato anche dal seguente gustoso episodio. Riporta Arriano che quando la corte del re Alessandro, con Pirrone, Onesicrito e gli altri intellettuali greci, incontrarono i gimnosofisti, alcuni di loro erano stranamente intenti a calpestare in modo vistoso il terreno. Chiesti del perché, risposero: “O Re Alessandro, ogni uomo possiede tanta terra quanta quella che ognuno di noi calpesta, e tu, essendo un uomo come gli altri, faresti meglio a smorzare tanta frenesia che ti porta a vagare per queste vaste lande, lontano dalla tua casa, turbando te stesso e vessando gli altri. Insomma – conclude De Bernardi – i gimnosofisti, senza alcun timore reverenziale, redarguiscono l’arroganza del giovane condottiero macedone, secondo loro tipicamente “occidentale”  (tutto è relativo), anziché adularlo e considerarlo, come egli avrebbe preteso, “figlio di Zeus”.

SAGGI E RELIGIOSI NUDI ANCHE IN EUROPA. MA SONO STERMINATI. Anche l’Europa cristiana ebbe i suoi “saggi nudi”: erano i devoti delle sette fondamentaliste ed eretiche degli adamiti (o adamiani) e carpocraziani. Gli adepti, grandi conoscitori delle Scritture, si riunivano tutti nudi, uomini e donne, per ristabilire la purezza e semplicità primigenia dell’Uomo, come Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre. Si diffusero dal 130 d.C., sembra a partire da Alessandria d’Egitto, o secondo altri nel IV sec. d.C. Loro esponenti furono Epifanio di Salamina, che fu anche vescovo, e un certo Prodico. Li si diceva discepoli di Platone, e certo credevano nella metempsicosi. Puntavano alla perfezione attraverso l’unione dei sessi in una sola persona. Li si accusava, perciò, di abbandonarsi ad ogni sorta di impudicizia, etero e omosessuale. Gli Adamiti, poi, avevano le donne in comune. Per questo, Sant’Eusebio li definì “maghi e fornicatori”. (J. Lignères, La sexualité dans la Magie, Paris 1928). Un loro consistente nucleo sopravvisse nel cuore dell’Europa, dove furono sterminati nel basso Medioevo (sec. XV) nel corso delle ricorrenti persecuzioni della Chiesa contro gli eretici.

E I NUDISTI-NATURISTI MODERNI, HANNO ELEMENTI IN COMUNE CON I GIMNOSOFISTI? Anche i nudisti di oggi, che per curioso e paradossale pudore si autodefiniscono “naturisti” senza accorgersi della contraddizione, possono essere collegati in qualche modo ai gimnosofisti? Forse sì, ma è un legame tenue, e solo se sono davvero naturisti, cioè immersi nella FusiV,, cioè nella Natura e nella filosofia della vita “secondo Natura” in tutti i suoi aspetti. Anch’essi, in fondo, almeno i pochi consapevoli e colti, potrebbero proporsi come “nudi e saggi”, in quanto portatori d’una visione intellettuale e anticonformistica del vivere e del pensare fondata sulla comunione tra corpo e Natura e sulla non-violenza (cfr. N. Valerio, Guida al nudo cit.). Certo, in tutt’altro panorama, cioè in ambiente culturale laico e occidentale,  imbevuto di edonismo e naturalismo estetico-estatico. Eppure, la stessa ricerca conclamata della semplicità, l’austerità di vita (questo era all’inizio del Novecento lo spirito del movimento), la riduzione dei consumi al minimo, la contiguità con la Natura, compreso il vivere il più possibile all’aria aperta tra i quattro elementi (aria, terra, acqua, sole), e infine la ricerca di collegamenti in molti nudisti moderni tra filosofia del corpo, amore per la Natura, vegetarismo e Oriente (cfr. ai primi del Novecento la famosa comunità internazionale della Casa Anatta sul Monte Verità, in Svizzera,  e tuttora lo yoga nudo), sono tipici elementi del più autentico Naturismo nudista originario, che a ben vedere possono essere visti come consistenti residui culturali della tradizione indo-greca dei gimnosofisti, che ha sparso semi fecondi dappertutto, ed è così giunta fino a noi, sia in Oriente sia Occidente. Ancora nel 1930 il termine gimnosofia è vivo e vegeto, tanto che negli Stati Uniti viene fondata la American Gymnosophical Association (Aga), attiva fino agli anni Cinquanta, col compito di coniugare la nudità con la saggezza delle idee in una vita secondo natura.

NICO VALERIO
.
NOTE
(1) Epimenide (VI secolo a.C.), cretese, sosteneva che «i Cretesi sono bugiardi». Era dunque vera o falsa questa affermazione, sapendo che chi l’aveva detta era cretese, quindi “bugiardo”? Da un lato, essendo egli, in quanto cretese, bugiardo, l’affermazione non era vera. D’altro canto, ammesso pure che Epimenide fosse stato l’unico cretese non bugiardo, anche in questo caso la frase sarebbe stata falsa, poiché avrebbe dimostrato che non tutti i cretesi sono bugiardi.
(2) Magnone P. La risposta di un gimnosofista al quesito di Alessandro sull’origine del tempo: dottrina indiana? in Piovano I e Agostini V (a cura di), Atti dell’VIII Conv. Naz. di Studi Sanscriti (Torino, 20-21 ottobre 1995), Torino 2001, p. 59-67. Il saggio si raccomanda a chi volesse approfondire l’aspetto filosofico del concetto di tempo nella cultura indiana antica.
(3) Basham A.L. History and Doctrines of the Ajivikas. A Vanished Indian Religion, Londra 1951, Delhi 1981 (rif. da Giacometti cit.).
(4) Giacometti G., Gli studi giainici di L. P. Tessitori e il problema dei gimnosofisti. Intervento al Convegno su L. P. Tessitori, Udine, 9-10 settembre 1994.
(5) Morani M. nel breve ma documentato saggio I Greci in India. Sulla assidua frequentazione dell’India e di tutta l’Asia sud-orientale delle navi romane, si veda il documentatissimo libro di E. Cadelo, Quando i Romani andavano in America, ed. Palombi, Roma 2013.
(6) San Gerolamo, Lettere, Rizzoli 2009, pp. 457, 459 e 461.
.
BIBLIOGRAFIA (a cura di FGC)

Agostino, De Civitate Dei 14,17 e 15,20 (con Plinio 7,2,22).
Anecd. Gr. 1/145-146 IX ad Phil. Quaest. Alex. Maced. (le 9 domande ai Gimnosofisti) con Anon., De Hist. Alex. 9 [FGrH 1139 - Pap. Berol. 13044].
Apuleio, Florida 15,6.16 (Gimnosofisti d'India, presso i Bramini).
Arriano, Anab. 6,16 (accenno ai Bramini ed alla loro città [Taxila [Arriano] /Taxiala [Tolomeo] /Taksasila], non propriamente ai Gimnosofisti). 
Lucio Flavio Arriano, L’India. A cura di A.Oliva. Testo greco a fronte, Saggio introduttivo di D.Ambaglio. Rizzoli, Milano 2000, pp.160.

Clemente Alessandrino, Stromata 1,15 (distinzione dei Gimnosofisti in Sarmane=Ilobi [vedi Strabone] e Bramini) e 6,4,38/7.
Crisostomo, In Ep. II ad Cor. Om. XV,2 [Vol. 61,506].
Diogene Laerzio, V. Phil. 1,Intr,1.5-6 (Gimnosofisti discendenti dei Magi per Clearco e su Clitarco XII); 3,8. Platone si reca dai Profeti (Gimnosofisti) in Egitto; 9,7,2. Democrito apprende da loro in India poi si reca in Etiopia; 9,11,2  Pirrone apprende da loro e dai Magi).
Eliano, Varia Hist. 20 (visita di Democrito ai Gimnosofisti in India).
Eliodoro, Aethiopica 2,10,11 e 2,31,1 (il racconto di Calasiride ed il precetto dei Gimnosofisti); 10,9,6 e 10,13,3 (il Re Idaspe si reca dai Gimnosofisti d'Etiopia, capeggiati da Sisimithres e Persinna [vedi Arriano in Fozio]).
Epifanio, Panarion/Adv. Haer. Vol. 3,509,30ss.

Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana. Adelphi, Milano 1978.
Fozio, Bibl. 44 (da Filostrato, Vita di Apollonio di Tyana: Apollonio apprende dai saggi indiani ma anche dai Gimni d'Etiopia); 73 (da Eliodoro, Aethiopica: conosce Sisimithres, Re dei Gimnosofisti e Persine); 91 (da Arriano, Storia del Regno di Alessandro: suicidio di Calano col permesso di Alessandro).
Hist. Alex. M. (Ed. Vet.) 3,3-4.25 (Alessandro ai Gimnosofisti Oxidraci) con Recensio Byz. poet. [Cod. Marc. 408] 4000ss.
Ippolito, Refut. 1,13[11] (Damasippo d'Abdera tra i Gimnosofisti d'India) con Ps. Origene, Philosophum. 8,7.
Isidoro, Aethim. 8,6,17 (su Agostino 14,17).
Leone di Napoli, Nativitas et Victoria Alexandri Magni sive Historia de preliis Alexandri Magni 3,4-6 (domande di Alessandro agli Oxidraci-Gimnosofisti).
Lucano, Phars. 3,240 (accenno a Calano).
Luciano, Fugitivi 7,7 (Bramini Oxidraci e suicidio).
Plinio il Vecchio N.H. 6,22,66 (per la Zona del Gange, con riferimento a Calano); N.H. 7,2,22 (sull'India); N.H. 12,12,24 (l'albero indiano "Ariena" sotto il quale vivono i Gimnosofisti); attenzione alla più generica definizione di Etiopi come neri di pelle (in Africa occidentale ed orientale come anche in India [per gli Etiopi d'Asia vedi Erodoto, Storie 3,94 e 7,70]).
Plutarco, Alex. 64-65 (con le 10 questioni e Calano) e Lyc. 4 (incerto viaggio di Licurgo in India dai Gimnosofisti).
Polemio, Res G. Alex. M. 3,10-13 (i Gimnosofisti Oxidraconti o Bragmani) e 44.
Porfirio, De Abstin. 4,17 (Gimnosofisti Bramini e Samanei).
Pseudo Callistene, Alex. M. Res G. Epit. 2,71-78 (Gimnosofisti Oxidraci e Alessandro) con Iul. Val. Epit. 3,4.17.23.
Solino, De Mirab. Mundi 53,25 (su Plinio il Vecchio N.H. 7,2,22).
Strabone, Geogr. 15,60 (tra i Garmani gli Ilobi: Abitanti delle Foreste) e 16,2,39 (tra i Profeti i Gimnosofisti d'India).
Tertulliano, Adv. Marc. 1,13 (Gimnosofisti d'India) ed Apolog. 42,1 (i Gimnosofisti Abitanti delle Foreste.
Palladio. Palladiou perí tón tes Indias ethnón kai Bragmanón. [Palladio, De gentibus Indiae et Bragmanibus].
S. Ambrosius, De Moribus Brachmanorum.
Anonimus, De Brachmanibus [con il colloquio tra Alessandro Magno e il re dei Bragmani, Dindimo]. Londini [Londra], 1665. Nota: si tratta di una silloge, con testi in greco e in latino, di brani sui Gimnosofisti non solo degli autori citati nel frontespizio, ma anche di Porfirio, Arriano, Plutarco, Clemente Alessandrino, Filostrato, Postello. Il libro è leggibile qui nella stampa originale.


Autore del presente saggio: NICO VALERIO
Indirizzo web del saggio: http://nicovalerio.blogspot.it/2012/03/gimnosofisti-quei-saggi-indiani-asceti.html

IMMAGINI. Nessuna delle immagini qui riportate al puro scopo di abbellimento illustra i veri Gimnosofisti dell’epoca. Di loro, che si sappia, non ci sono giunte immagini di sorta. I moderni asceti indiani, spesso rozzi e ignoranti, non hanno niente a che fare con quei raffinati e coltissimi filosofi, molti dei quali erano consiglieri di principi e avevano rapporti anche con i più noti filosofi greci. Li abbiamo inseriti in questo articolo per puro contrasto, e non certo nella speranza che possano dare una idea di quello che dovevano essere quei loro sapienti omologhi di 2300-2000 anni fa, colti, raffinati e “globalizzati” a tal punto da conoscere la filosofia greca e tener testa con ragionamenti sofistici a un re “filosofo”, sia pure aggressivo e crudele, come Alessandro.

1. Nella miniatura medievale Alessandro Magno incontra i bramini gimnosofisti che vivono nelle grotte. Il loro re, Dindimo (a sinistra, con la corona), invia due messaggeri che illustrano ad Alessandro il proprio credo e stile di vita. 2. Un Sadhu indiano dei giorni nostri medita in equilibrio su un ciottolo: non si è mai tagliato capelli e barba. 3. Tra i gimnosofisti che si fanno incontro ad Alessandro capeggiati dal re Dindimo, la miniatura medievale raffigura anche una donna (a destra). 4. Alessandro con un bramino gimnosofista (miniatura medievale). 5. Anziani Naga (che vuol dire nudo) Sadhu del Nord dell’India odierna a una festa rituale (foto H.Kumar). 6. Naga indiano col corpo cosparso di cenere e terra del Gange che si inebria al fumo di droghe. 7. Alessandro il Macedone. 8. Due asceti Naga Sadhu, popolarmente detti anche baba (Shyam Giri e Ram Giri), dello Juna Akhara. 9. Una donna hindu massaggia le gambe di un asceta Sadhu nudo che vive in una tenda sulle rive del fiume Hoogly a Calcutta.  10. Un Naga Sadhu al bagno rituale con la sua lunghissima capigliatura intonsa. 11. Processione di asceti Naga  Sadhu durante la festività di Kumb Mela in India (1998). 12. Due asceti Sadhu a Katmandu nel 2006 (foto Galetti). 13. Lo sterminio degli adamiti in Europa nel XV secolo (stampa medievale).

JAZZ. Tre capolavori del grande cornettista e trombettista Louis Armstrong nell’orchestra di Fletcher Henderson in Sugar Foot Stomp, del 29 maggio 1925 (che in origine aveva il titolo di Dippermouth Blues) un po’ frusciato “da 78 giri” qui, oppure con suono filtrato qui. La formazione: Fletcher Henderson (p); Louis Armstrong (ct); Joe Smith, Elmer Chamberts (tp); Charlie Green (tb); Buster Bailey (cl); Don Redman, Coleman Hawkins (sax); Charlie Dixon (bjo); Ralph Escudero (tub); Kaiser Marshall (dms). Lo si ascolta anche in West End Blues del 1928 (Louis Armstrong t-voc, Fred Robinson tb, Jimmy Strong cl-ts, Earl Hines p-v, Mancy Cara bj, Zutty Singleton d. Chicago, 28 giugno 1928) e in quest’altro brano con la cantante Bessie Smith: è St Louis Blues del 1925.


AGGIORNATO L'8 AGOSTO 2019

Etichette: , , , , , , ,