28 agosto 2015

CITTÀ. Ma un Sindaco non cambia l’etica e la cultura dei concittadini.

Fosse pure Ernesto Nathan o Fiorello La Guardia, un Sindaco non può, non ha i mezzi per contrastare il malcostume diffuso nella sua città, magari una metropoli, tanto più se è l'intera Nazione a essere corrotta. Neanche il Capo della Polizia lo può fare, neanche un Procuratore Generale: sanno bene che il problema è etico, di moralità generale, e che ciò che è stato concesso per 70 anni (e talvolta per secoli) non può all’improvviso essere vietato. La gente non obbedirebbe. Neanche nel piccolo commercio abusivo, figuriamoci nel resto. Severità e repressione del malcostume ci devono essere, eccome, ma affiancati, sorretti, da una vera e propria opera di "rieducazione" civile e sociale. Già, ma chi la può fare senza critiche?
Un Sindaco, però, può fare tante cose alla sua portata: p.es. non dare ascolto alla massa becera dei cittadini, dettare regole amministrative di tipo svizzero-teutonico, licenziare impiegati e guardie non onesti, non efficienti e veloci, che non puliscono, non tutelano i parchi o non garantiscono il buon funzionamento della città (e se i giudici li reintegrano "denunciarli" alla pubblica opinione), chiudere l'intero Centro Storico alle auto, come nelle grandi città d'Europa: voglio vedere poi se i cittadini non prendono il bus che corre veloce nelle strade vuote, e se non calano già solo per questo alcuni reati.
Un Sindaco è "soltanto" un amministratore, ma già non può far nulla - per dirne una facile facile - se tutti i cittadini hanno l'abitudine di voler andare dappertutto in automobile e di lasciarla anche in seconda e terza fila. Figuriamoci il resto. Anche se trovasse (periodo ipotetico del III tipo: irrealizzabile) migliaia di vigili severi e onesti, non potrebbe metterne uno accanto a 1 cittadino su 2 (queste sono le dimensioni del malcostume urbano in tutto il Sud, Roma compresa, e in molte città del Centro-Nord). Neanche un Papa, neanche un Santo, potrebbe cambiare cittadini anarcoidi da troppo tempo male educati.
Solo la scuola potrebbe farcela (ma severa, educativa, cioè "indirizzata" ai valori di moralità laica e civica, non relativistica – già ma immaginiamo le polemiche ("Stato etico", "fascismo" ecc.), e poi chi educherebbe ai ritrovati valori culturali, anzi chi selezionerebbe, gli insegnanti, per lo più cattolici, incolti, e provenienti proprio da quelle zone culturalmente depresse dove ha regnato per secoli il malcostume? Insomma, sarebbe una scuola molto diversa da quella di oggi, per la quale forse dovremmo fare leggi e ministri nuovi (laici) e importare insegnanti dall'Estero.
Efficace sarebbe anche una rivoluzionata televisione educativa, solo pubblica (quella privata con tasse altissime commisurate alla pubblicità), senza la ricerca dell'audience, senza pubblicità e talk-show, dove ci fossero finalmente anche teatro-jazz-musica-arte-storia e una continua educazione politica (perché gli Italiani non sanno assolutamente nulla di storia delle idee e politica). Ma anche qui immaginate le critiche. Insomma, ci vorrebbero dei nuovi prepotenti idealisti, alla Cavour. Tempi del cambiamento? Sono ottimista: una sola generazione (25 anni). Ma lavorando duro tutti. Come gli antichi Romani dopo Canne.
Chi pensa, perciò, che un Sindaco, solo perché è del partito avversario, è responsabile di non aver cambiato non bilanci, strade, commercio, parchi o traffico, ma la "legalità" dei cittadini ha letto troppi giornali americani (in USA i sindaci sono anche capi della polizia locale, che è vera polizia, eppure non cambiano certo la mentalità della gente). Se poi pretende che possa cambiare anche l’animo e la cultura dei suoi cittadini, è una persona di poca cultura o un tifoso da bar dello Sport, in ogni caso un deficiente pericoloso a sé e agli altri.

23 agosto 2015

COSTUME. Se a un boss zingaro della mala fanno un funerale molto sfarzoso.

Non si era mai vista una montatura così ipocrita. Muore il capo-clan della potente famiglia dei Casamonica – origini zingare e parecchi guai con la Giustizia, con un alto tasso di denunce e condanne – e il clan gli tributa, com’è costume tra gli zingari e in una certa malavita dai gusti grandiosi quanto pacchiani, un funerale degno di un Padrino cinematografico: carrozza barocca trainata da sei cavalli, banda musicale con musiche da film, lancio di petali di rosa da un elicottero neanche autorizzato, manifesti affissi sulla chiesa col boss ritratto con abito bianco e la croce come un Papa, folla di parenti e membri del clan ecc. Con il benestare del parroco (lo stesso che aveva rifiutato i funerali a Welby, il radicale fautore dell’eutanasia), con tanto di permessi per presenziare alla cerimonia concessi con urgenza da magistrati e poliziotti ai parenti agli arresti domiciliari, la totale assenza di controlli da parte di Questura, Prefettura e Comune. Questi i particolari che hanno fatto strappare i capelli e gridare in modo spropositato allo scandalo tutti i media e i commentatori politici (tranne Sgarbi, con cui concordo pienamente: siamo gli unici fuori dal coro), fino alla richiesta addirittura delle dimissioni di questore, prefettto, sindaco e ministro dell'Interno. Bum!

La solita patologica tendenza all'esagerazione parossistica, all'emotività più sfrenata, anzi al calcolo politico più strumentale e opportunista di cui soffre l'Italia fin dagli inizi del Novecento, cioè quando entrò in crisi, soprattutto per colpa del suffragio universale concesso a masse contadine, ignoranti e reazionarie, la gloriosa idea di Patria e l'unità psicologica e culturale costruite faticosamente dai Liberali nel Risorgimento.

Per una sciocchezza del genere, un funerale ostentato e pacchiano come ce ne sono tanti ogni giorno, specie al Sud, visto stavolta come "provocazione" grave, si è levata un'esagerata generale indignazione a comando che ricorda tanto il famigerato e qualunquistico Bar delle Cinque Stelle. Il guaio è che, purtroppo, il coro di proteste così prolungato e assordante ha incuriosito, ovviamente, la stampa estera (che, menomale, per fortuna nella sfortuna ha intitolato: “I funerali in stile boss della Mafia indignano Roma”). Ma intanto, subito dopo l'altra mistificazione di "Mafia Capitale" - titolo giornalistico a effetto inventato addirittura dai magistrati - tutto il Mondo si rafforza nella convinzione, per colpa dei moltissimi anti-italiani fautori del "tanto peggio, tanto meglio", che a Roma c'è la Mafia. Il che non è assolutamente vero: c'è criminalità, certo, come in tutte le metropoli, anzi, con meno omicidi delle altre capitali. Perché la criminalità organizzata è un concetto, la Mafia un altro.

Ma ora che politicanti, giornalisti e il popolo del web si sono sfogati, è ora di dire basta a questa strana esagerazione. Un pensiero unico (non-pensiero) penoso, ingenuo, moralistico, autoritario, che mostra tutti i suoi limiti, anche di buonsenso. L'intera faccenda si è rivelata una penosa e ipocrita montatura, una masochistica bolla di sapone, dannosissima per l'Italia, che – subito dopo l’altra negativa campagna denominata “Mafia Capitale” – sembra sia stata fatta a posta per far parlare male di Roma e della solita “Italia corrotta” tutti i giornali stranieri, che non aspettavano altro. Vergogna!

Vediamo, perciò di analizzare i fatti e il loro effettivo valore alla luce della Ragione. I Casamonica sono un clan zingaro, numeroso (loro stessi parlano di 1000 persone) e molto legato come tutti i clan zingari benestanti e stanziali, quindi abituati ad avere cosiddetti “re” e “regine”, a ostentare oggetti di color d’oro e gioielli (gli zingari in origine erano calderai e cesellatori), ville esagerate e Kitsch, a organizzare funerali vistosi, fatti – come facevano gli Antichi – non tanto per i morti, quanto per allietare i vivi della propria famiglia e mostrare il proprio benessere, che è un elemento di coesione, antropologico e psicologico, "interno" al clan, come si vede in tutte le società e i gruppi tradizionali. Possibile che nessuno abbia letto un manuale di antropologia culturale?

La presidente dell’Anti-Mafia, Bindi e molti politici hanno biasimato una “ostentazione” fatta secondo loro per “lanciare messaggi” di potere alla malavita, per incutere timore e rispetto o “impressionare” gli estranei! E chi, di grazia, in una grande città dispersiva e distratta come Roma, forse i passanti pensionati Inps, la casalinghe di periferia, gli studenti? I convenuti erano visibilmente già membri del clan più qualche curioso di quartiere. Dare il "cattivo esempio" ai giovani? Appunto, se è per questo, allora a maggior ragione andava ignorata, coperta dal silenzio. Invece, ora tutto questo clamore – secondo noi strumentale: chissà perché o per distogliere da che cosa è stato sollevato – ha finito per fare pubblicità al boss e al clan.

Perciò niente di gravissimo e neanche grave in questo banale funerale Kitsch. E' l'estetica che ne è colpita, semmai, non l'etica. Le cafonate della carrozza barocca e dorata con un tiro a sei cavalli, fatta venire da Napoli a bordo di due Tir, i petali di rosa gettati dall’elicottero, la musicaccia strappacuore della banda (curiosamente diretta da un ex-carabiniere), i manifesti col morto vestito di bianco come un Papa, si ritorcono col loro ridicolo contro chi le ha inventate, e sono del tutto coerenti con un ambiente del genere.

Ma i Casamonica sono anche un gruppo che ha fatto i soldi infrangendo il codice, facendo la malavita, e non pochi esponenti, a partire dal capo-clan appena defunto, hanno avuto denunce, condanne varie per i più diversi reati. Vero. Ma alcuni erano ai domiciliari e hanno avuto il permesso dai giudici. Altri avevano già scontato le loro pene ed erano liberi cittadini. Ora, dopo decenni di scarsa attenzione al defunto vecchio Casamonica, il che gli ha permesso di accumulare denaro e reati, solo in occasione del funerale i giornalisti, i politici, i magistrati si ricordano di lui e gridano allo scandalo? E dov'erano questi moralisti fuori tempo massimo quando i Casamonica tendevano la loro rete di piccole e grandi illegalità? E se questi zingari sono così imbarazzanti da non meritare di essere presenti al funerale del loro capo-clan perché si sono macchiati di reati, come mai non sono stati di nuovo arrestati dai Carabinieri e Magistrati durante il funerale stesso? Perché delle due l'una: o sono criminali o no. Perciò in mancanza di nuove denunce anche i Casamonica sono liberi come gli uccelli, se sono a piede libero, e possono fare quello che vogliono. Anche funerali Kitsch. Con le licenze in ordine, s'intende.

Il parroco ha dato i funerali - ha dichiarato - perché il Casamonica come tutti gli zingari era super-credente e cattolico fervente. Welby, no, era ateo (credente è solo la moglie Mina). Noi che siamo atei, ma persone di buonsenso, lo sapevamo. Loro no? Ma – insistono i tanti moralisti d’accatto che prima parlano male dei preti, poi sotto sotto attribuiscono alla religione il ruolo del monopolio della moralità – «la Chiesa non può trattare i mascalzoni come i buoni solo perché dicono di essere cattolici». Vero, nessuno dovrebbe farlo. Ma, a parte le valutazioni sulla bontà di ognuno (pochi si salverebbero a un esame severo), è vero il contrario: la Chiesa, specialmente quella Cattolica, sembra interessata più ai peccatori, che deve redimere, che agli onesti, i quali bastano a se stessi, come ripetono i preti Vangelo alla mano.

Tutte cose risapute. Anche se ammettiamo che ugualmente ci urtò parecchio, anni fa, che il capo della banda della Magliana, Renatino De Pedis, dando offerte alla Chiesa e professandosi cattolico, fosse riuscito ad avere una tomba in un’importante chiesa monumentale del centro di Roma. Ma la Chiesa Cattolica Apostolica Romana è così, e da molti secoli, forse da sempre. Non solo, ma perdona con grande facilità: uno ammazza qualcuno, poi si “pente”, va dal confessore e torna pulito. Troppo comodo, addirittura ingiusto nei confronti degli onesti, scandaloso e vergognoso per noi laici e atei. Insomma, la Chiesa cattolica è così: prendere o lasciare. Quindi non ha fatto un trattamento di favore al Casamonica.

E poi, vogliamo forse istituire pene moralistiche accessorie non previste dal Codice e in contrasto con la Costituzione, come la condanna preventiva a una vita low profile, all'understatement, alla damnatio memoriae? In democrazia liberale, nello Stato di diritto, non è possibile, ed è ridicolo solo pensarlo. Che facciamo, andiamo a indagare nella vita quotidiana di tutti i cittadini, anche incensurati, per individuare i "mascalzoni", e vietiamo loro sfarzo, esibizionismo, feste e champagne? Ma allora dovremmo indagare e punire alla sobrietà anche commercianti disonesti, professionisti che non pagano le tasse, avvocati collusi con la controparte, ingegneri e architetti che fanno costruzioni squallide, insegnanti ignoranti, giornalisti raccomandati, perfino le signore che posteggiano l'auto in seconda fila!

Restano, perciò, solo le quisquilie in questa vicenda, doppiamente squallida e sottoculturale: per chi l'ha creata e soprattutto per chi l'ha criticata. La banda aveva il permesso? No. Era tollerata, trattandosi d’un funerale? Male. Avete mai provato a eseguire musiche o spettacoli in piazza senza autorizzazioni? E le tante auto avevano il permesso? Forse sì, essendo scortate da vigili. L’elicottero aveva i permessi? No, il pilota non aveva consegnato il piano di volo né poteva volare così basso in città. E infatti è stato penalizzato. Insomma, piccolezze da far sbrigare a un sonnacchioso vigile urbano e a un impiegato dell'aeroporto dell'Urbe, niente a che fare con un nuovo Al Capone.

E ora per favore, basta con questa montatura (tre pagine del Corriere della Sera: a che punto è decaduto!) che oltretutto ha danneggiato l’Italia all’estero. E’ ora di finirla coi finti scandali, quando a quelli veri nessuno pensa. Forse è per questo che sono stati fatti scoppiare?

E già che ci siamo, basta anche con i professionisti dell’anti-mafia. Sappiamo che, dai tempi dello scrittore Leonardo Sciascia questo è un argomento spinoso. Certo, la stessa parola “Mafia”, lo sappiamo, “paga”, fa audience, dà notorietà, aumenta i lettori e gli spettatori, legittima commissioni inutili e di potere, gratifica politici mediocri, giustifica promozioni e tutele tra investigatori. Ma un fenomeno tipico della Sicilia, dove la Mafia vera uccideva, altroché, e si guardava bene dal trafficare con la droga – cosa che invece la presunta “Mafia”, cioè la criminalità comune oggi fa abbondantemente, senza quasi uccidere nessuno – non può essere “esportato” da magistrati e “mafiologi” ovunque, addirittura fino in Russia. E’ sbagliato, perciò, considerare qualsiasi criminalità organizzata come “Mafia”, parola grandiosa che pare incutere rispetto e considerazione, ormai, solo tra politici e magistrati, guarda caso, meridionali. Sono loro che di fatto fanno a questo nome la massima pubblicità e importanza, più dei loro presunti capi. E’ un errore gravissimo, anche storico e sociologico, visto che la Mafia era indissolubilmente legata al territorio siciliano e alle sue regole arcaiche, e che "esportata" al Nord, come sostengono i mafiologi ha annacquato o perso tutte le sue caratteristiche per regedire a comune criminalità, organizzata o no. Così, ci tocca di vedere da una parte che politici, giornalisti, commentatori e magistrati finiscono paradossalmente per magnificare omuncoli che andrebbero invece trattati con la sbrigatività e il disprezzo che si hanno per banali delinquenti (senza regalargli addirittura le prime pagine dei giornali); dall’altra assistiamo con sgomento e rabbia ad una continuata azione di discredito all’estero dell’Italia, ovvero degli Italiani, compresi i "mafiomani" stessi e i tanti a cui conviene riempirsi di continuo la bocca della parola Mafia, e purtroppo anche di tutti noi.

AGGIORNATO IL 24 AGOSTO 2015

04 agosto 2015

INTELLIGENZA. L’Italia di oggi è la nazione più intelligente dell’Occidente?

Giovanni Pico, dei conti di Mirandola e di Concordia, visse solo 31 anni, ma fu accompagnato in vita e soprattutto seguito dopo la morte (Firenze 1494) dalla fama di genio, non solo per la leggendaria memoria prodigiosa e la stupefacente velocità nell’apprendimento, ma anche per la vastità dell’erudizione e la profondità della cultura. A dimostrazione che la grande intelligenza, quando c’è, è pervasiva, Pico è davvero versatile, andando oltre le categorie medioevali del “trivio” e “quadrivio”, cioè le branche del sapere dell’epoca (artes liberales), occupandosi di filosofia e matematica, grammatica e astrologia, politica e teologia, e così via. Diversamente da altri grandi memorizzatori, tra i quali si contano perfino alcuni ritenuti “poco intelligenti”, Pico è un vero uomo di cultura e un intellettuale a tutto tondo. Sia pure giovanissimo, si distingue per capacità non solo di sintetizzare o criticare idee e tesi altrui, ma anche di elaborare teorie personali. Si inserisce, così, nel dibattito dei grandi umanisti e scienziati dell’incombente Rinascimento, molti dei quali erano suoi corrispondenti e amici.
Ammettiamo che un personaggio come Pico, grazie anche a una breve vita e una scarna biografia, possa essere assunto a esempio alto, addirittura simbolico, di un tipico “uomo italiano intelligente”. E così entriamo in argomento. Una ricerca non italiana a più mani, di continuo rielaborata (e anche criticata, com’è tipico degli studi, che aspettano il giudizio della libera comunità scientifica per essere davvero avvalorati nel metodo, nella tesi e nelle conclusioni), ha portato alla conclusione, passando in rassegna i vari studi sui quozienti d’ìntelligenza individuali (QI), che gli Italiani sono in buona posizione nella classifica mondiale, anzi addirittura primi nettamente in Occidente davanti a Francesi, Inglesi, Americani, Tedeschi. Italia QI 102, Stati Uniti 98. Solo una cosa non ci convince: che i Cinesi siano mediamente molto più svegli degli Israeliani. Non è uno studio recentissimo, ma è stato pochi giorni fa oggetto di un articolo della Voce di New York, giornale web bilingue di italo-americani. Gli psicologi dell’intelligenza interessati al dibattito sapranno già di che si tratta, gli altri curiosi potranno controllare in questo sito la sintesi dello studio di Lynn con facili tabelle, e qui per sommi capi l’evoluzione di questi studi e il dibattito collegato.
A noi, veramente, gli Italiani di oggi non paiono per niente intelligenti come Pico, Ficino, Boccaccio o Dante, Leonardo o Leon Battista Alberti, Lorenzo de’ Medici o Guicciardini, Machiavelli o Cavour. Anzi, a dire il vero, ci sembrano ottusi come i loro cocchieri, contadini, cuochi e servitori. Con la differenza sostanziale che oggi si è instaurata la democrazia – giustamente, perché si è visto che ogni altro regime è peggiore – e perciò quei contadini e servitori, purtroppo ancora con la “intelligenza” d’un tempo, parlano, scrivono, si laureano, e sono anche altezzosi e sicuri di sé: fanno ormai “opinione pubblica” e intelligenza collettiva. Certo, anche negli altri Paesi le masse, politicamente (solo per il puro atto del voto, perché questo, solo questo, è la democrazia) evolute rispetto al Rinascimento, sono in realtà rimaste allo stesso livello, mentre i Pico, gli Erasmo, i Leonardo, sono emarginati o pagati 1000 euro al mese. L’uomo-massa, quindi, non può certo dirsi “intelligente”, e lo constatiamo giorno per giorno, soprattutto nei posti di comando (cultura, arte, politica ecc.), ma anche tra i nostri comuni concittadini: i meno intelligenti sembrano più sicuri di sé, hanno più successo, sono perfino più sani, più ricchi, più felici e vivono di più e meglio. Con grande rabbia degli intelligenti, che rosi dall’invidia si ammalano e muoiono prima, spesso poveri.
Eppure tutto è relativo, e anche tra mediocri o scarsi è possibile una classifica. Sebbene l’intelligenza misurata con QI non abbia molto rapporto con l’intelligenza reale, che è soprattutto psicologica, osservazionale. Uno può benissimo essere veloce a cogliere nessi logici tra figure, a interpolare numeri mancanti in una sequela, ma poi perdersi come uno scemo qualunque nell’interpretare la realtà intorno a lui o la psicologia di parenti, amici e concittadini. Matematica e logica non sono tutta l’intelligenza. 
Prendiamo atto, comunque, che pur con questi limiti, e pure con dimostrazioni ad opera di studiosi non italiani, gli Italiani di oggi (per quanto possa apparire strano in un Paese in cui è costume nazionale l'auto-denigrazione e il pessimismo, e l'unica "virtù" diffusa riconosciuta è la furbizia), non risultano più scemi di Americani e Francesi, Inglesi o Tedeschi. Anche se uno studioso, poi, sostiene che in fondo il vizio che abbiamo sempre lamentato, la stupidità o, se vogliamo, la lentezza a reagire, va abbastanza rivalutata. Un poco di ottusità - è l'amara considerazione che abbiamo sempre fatto - aiuta paradossalmente a vivere di più e meglio. Invece, il fatto che gli asiatici del Sud risultino ancora più intelligenti degli Italiani, è cosa che ci conforta alquanto nella nostra avversione ai test d’intelligenza. Saremo idioti o troppo intelligenti? Comunque, in entrambi i casi, "come volevasi dimostrare". NICO VALERIO

ITALIA, NAZIONE PIÙ INTELLIGENTE DELL'OCCIDENTE
di James Hansen, La Voce di New York
La classifica sulle nazioni più intelligenti del mondo, revisionata e allargata dallo psicologo olandese Jelte Wicherts, sulla base dei risultati dei test di massa del quoziente intellettivo utilizzati in 113 paesi. Singapore al primo posto, seguito dal Sud Corea e dal Giappone. Italia quarta, Germania ottava, USA noni con la Francia
Italians are very smart. L’idea di paragonare il quoziente d’intelligenza medio delle singole nazioni è talmente ovvia che si continua a farlo anche quando il bon ton attuale – il “politically correct” – considera poco elegante parlare dei risultati.
L’Italia figura estremamente bene nella classifica, al quarto posto nell’intero mondo. E’ la nazione più “intelligente” dell’Occidente, preceduta in classifica solo da tre paesi asiatici: Singapore al primo posto, seguito dal Sud Corea e dal Giappone. Il Regno Unito è al 7° posto – come anche la Cina – la Germania all’ottavo, la Francia al nono, a pari merito con gli Usa. La Russia è in decima posizione.
La classifica è stata inizialmente redatta nel 2002 dallo psicologo britannico Richard Lynn e il finlandese, Tatu Vanhanen, uno studioso di scienze politiche, sulla base dei risultati dei test di massa del quoziente intellettivo utilizzati in 113 paesi. E’ stata poi revisionata e allargata dallo psicologo olandese Jelte Wicherts.
Emerge, per quanto senza tanta evidenza guardando solo in cima alla classifica, un chiaro rapporto tra reddito nazionale e intelligenza. Alla sua uscita la ricerca è stata criticata proprio per questo, partendo dal dubbio che siano forse i soldi a rendere i popoli intelligenti e non l’intelligenza a farli arricchire.
Fosse così, le attuali condizioni economiche dell’Italia tenderebbero dunque a dimostrare che gli abitanti della Penisola siano “smart” per conto proprio ed evidentemente squattrinati per semplice iella…
Esiste però un’altra ipotesi, antecedente alla ricerca moderna. L’economista inglese Walter Bagehot (1826-1877) – più noto per essere tra i primi e più importanti direttori de The Economist – non aveva una grande stima della vivacità mentale dei suoi connazionali, ma considerava la loro “lentezza” una virtù dal punto di vista politico. Nel suo Letters on the French Coup d’État scrive infatti, senza ironia: “Ritengo che la qualità mentale più essenziale per un popolo libero, la cui libertà dev’essere progressiva, permanente e su larga scala, sia una buona dose di stupidità”.
Dopo avere paragonato il livello intellettuale dell’Impero Romano (“il grande popolo politico della storia”) a quello della Grecia antica – a danno dei primi, che comunque avevano assoggettato i greci – passa a osservare che “Ciò che chiamiamo con obbrobrio ‘stupidità’... è la risorsa preferita della natura per conservare la risolutezza di comportamento e la coerenza d’opinione”.
“Una ‘giusta stupidità’ – spiegava – protegge un uomo dai difetti del suo carattere… E’ lento a eccitarsi. Le sue passioni, sentimenti e affetti tardano ad accendersi, ma sono forti e stabili... Si sa sempre dove trovare la sua mente. Ecco, questo è esattamente ciò che, nella politica almeno, non si può sapere di un francese”.
Bagehot non offre commenti sugli italiani, un popolo forse troppo intelligente per il suo stesso bene

IMMAGINI. 1. Le nazioni in blu scuro (Cina, Giappone e Italia) hanno avuto i risultati di quoziente di intelligenza più alti. 2. Un tipico test intellettivo. 3. Una sintesi grafica dello studio di Lynn diffusa in Francia: bassa o bassissima performance per i Paesi francofoni: Francia, Algeria e Marocco.
AGGIORNATO IL 5 AGOSTO 2015