30 novembre 2015

FEMMINICIDIO? Le parole inventate per propaganda da giornalisti e politici.

Il termine “femminicidio” è uno sfondone terminologico: chi lo ha inventato non doveva avere una grande cultura: andando per assonanza e profonda ignoranza credeva, il poveretto o la poveretta, che omicidio, cominciando per omo, riguardasse solo l’uccisione di esseri umani di sesso maschile! Non per caso la parola non esiste né in italiano, né in qualsiasi altra lingua. Ma, quello che è più gave, è che non esiste neanche nei fatti, nella realtà. È, insomma, una mistificazione, un’insinuazione propagandistica che ha un’origine ideologica.

"Revisionismo" ideologico? All'improvviso, da liberali siamo diventati reazionari? Niente di tutto questo, per fortuna. Anzi. E' che le mode non ci piacciono: hanno esse, sì, qualcosa di stupidamente futile che confina con uno spirito conservatore. Basta con l'orrendo - due volte: nella realtà e nel nome - "femminicidio" giornalistico.

Che cos'è, sarebbe una nuova "moda", quella di uccidere la propria moglie o fidanzata? Ed è una moda recente, a quanto pare, mai esistita, vero, signori giornalisti ignoranti e politici cocuzze, nella Storia, nell'Antichità? Ma avete letto la storia dell'Asia e dell'Africa, se non bastasse quella dell'Europa? Eppure, questo sembra all'ascolto di stupidi annunciatrici tv e di politicanti di mezza tacca.

Non capiscono che così pubblicizzano e, quel che è più grave, banalizzano l'omicidio ai danni delle donne? Questo, al paese mio, si chiama vero e proprio cinismo. Si gioca con la morte delle donne, diciamo, come sub-categoria degli esseri umani, la si classifica con una nuova definizione, giornalisticamente più "accattivante", più "spendibile" politicamente. Perfino nella morte, e quindi nei titoli di giornali, le donne sono condannate e essere diverse? A noi questo dannato "neologismo", sembra ributtante. Se questo è il nuovo femminismo, il femminismo dei nomi inventati, del ghetto che si trascina anche dopo la vita, ci fa schifo.

Un articolo sull’origine e sull’uso distorto del nome, che finora ci era sfuggito, svela l’origine di questo orribile neologismo, che – altro che uomo o donna, femmina o maschio – uccide il buonsenso e la ragione, che forse è peggio, perché alla lunga la stupidità causa più morti degli omicidi di qualunque genere.

Dunque, la sintesi estrema e semplificata dell’articolo-saggio è questa. Sembra che il termine sia stato coniato dalla femminista messicana Maria M. Lagarde quando esplose il fenomeno delle migliaia di donne uccise in Messico, a Ciudad Juarez (la vecchia El Paso dei film western). Secondo la teoria femminista venivano “uccise in quanto donne da maschi violenti nell’indifferenza della polizia”.

Invece, secondo la realtà, la città, che è situata sul confine con gli Stati Uniti, essendo diventata il centro mondiale del traffico di droga e anche la città con più omicidi al mondo, aveva la stranezza supplementare che molte donne locali, considerate più insospettabili dai trafficanti di droga, compivano numerosi omicidi come killer professionali, per lo più ai danni di uomini, finendo però in molti casi per essere uccise a loro volta dai “cartelli” concorrenti del narco-traffico o dalla polizia. Ma le femministe occidentali notarono che “femminicidio” era un termine che piaceva ai titolisti dei giornali, colpiva la fantasia e consentiva di calunniare gli uomini.

Ma tutto il breve articolo-saggio merita di essere letto. Saggio che potrà anche avere dei punti deboli, ma certo rappresenta una tesi anticonformistica (sia pure, sembra perfino a prima vista, suffragata da fatti), che anche se dovesse valere poco, almeno pone interrogativi imbarazzanti sull'efficacia dell'indignazione popolare "a comando" e sull'emotività legata alle notizie e sul conformismo dell’uomo-massa, maschi e femmine.

Insomma, come mostra anche una tabella con dati italiani per milione di abitanti (quindi vanno moltiplicati per 60 per ottenere quelli dell'intera Italia), la realtà statistica è molto diversa da quella “percepita” dalla gente o insinuata ad arte da telegiornali, giornali e internet. Triste a dirsi, ci sono morti e morti, morti che valgono di più e morti che valgono di meno. E perfino morti a cui si è abituati: quelli dei maschi.

Al riguardo, colpisce l'altissimo numero di suicidi dei maschi separati. Anche questi derubricati a semplici "suicidi". Mentre se fossero stati di donne, siamo sicuri, lo si sarebbe messo in evidenza. Si sarebbe inventato, chissà, un orribile “femmi-suicidio”; anzi c’è già stato chi ha sostenuto che anche i suicidi femminili sono in fondo dei “femminicidi” indiretti. Perché, si sa, la debole donna ecc.

L’articolo non presta abbastanza attenzione alla situazione del menage familiare e del rapporto di coppia – sarà la prima critica, ne siamo sicuri – prendendo del “femminicidio” solo il problema nominalistico e l’uso mistificatorio nella cronaca, oltreché l’origine? E invece questi suicidi maschili sono una conseguenza evidentissima del rapporto di coppia. Anzi, pare che proprio i "forti" uomini risultino più deboli delle "deboli" donne in caso di rottura del fidanzamento o del matrimonio, almeno in questa Italia ancora così mammona e familista.

Unico difetto formale dell'articolo: non è chiaramente firmato: ma perché c'è questa assurda fissazione sul web? La mancanza di firma evidente gli toglie il 10% di credibilità. Quindi: credibilità stimata: 90%.

Comunque, a parte la strumentalizzazione ideologica femminista, da curioso ed esperto di informazione commento così: che cosa non si fa per una copia o un clic in più. E' la stampa, bellezza!

AGGIORNATO IL 12 DICEMBRE 2015

21 novembre 2015

Chi bombarda i terroristi, i “buoni” Stati democratici? No, il dittatore “cattivo”.

Grazie Putin, grazie Russia, per il lavoro sporco che state eseguendo con i massicci bombardamenti dei vostri aerei contro la città di Raqqa e gli insediamenti dei pazzi estremisti islamici dell’Isis. Come hanno visto fare ai piloti americani (ormai tutto è globalizzato), ora i piloti russi firmano ogni missile con la dedica: "Per Parigi" (v. foto).

Che cosa volete, nuovi "amici" Russi, come contropartita? Mirate ai pozzi di petrolio detenuti dagli islamisti? Chissà. Ma in tal caso non dovreste bombardarli. O volete essere di nuovo riconosciuti Grande Potenza Mondiale come ai bei tempi sovietici? Oppure vi accontentate solo di far cancellare le sanzioni dei Paesi occidentali per le vostre crudeltà contro i dissidenti interni ed esterni? Forse.

Del resto, dopo tante parole impegnative, qualcuno dovrà pure posare davvero gli scarponi sul terreno in Medio Oriente per neutralizzare gli islamisti. E i poveri curdi, i valorosi uomini (e donne) armati anche da armi italiane, gentilmente fornite dal Gentiloni, ministro degli Esteri, da soli non bastavano più. E, si sa, sulla mira dei piloti francesi o siriani, non parliamo dei turchi (che non si sa mai da che parte stanno e a che gioco giocano), non si può contare troppo.

Dice: ma Putin, presidente della Russia ed ex capo del KGB, è un autocrate che fa il piccolo zar, un dittatore che ne ha fatte di cotte e di crude (pensiamo ai giornalisti dissidenti russi uccisi da misteriosi sicari o imprigionati; ma anche alla Ucraina, che non sarà una santarellina, ma anche un aereo civile gli ha fatto abbattere).

E con ciò? Non si sa che alle volte in politica, come nell’economia e nel commercio, i peggiori, insomma i “cattivi”, gli imbroglioni, com'è come non è, riescono meglio, sono i migliori? Tutto è relativo, certo. Ma la vita dei popoli, proprio come quella degli individui, non è propriamente una danza di debuttanti fanciulle in fiore, per dirla con Proust.

Ma sì, alle volte anche i dittatori, i "cattivi", servono, e magari un despota ex-sovietico può, sia pure per secondi fini, facilitato proprio dalla scarsa delicatezza d’animo (propria e dell'opinione pubblica), essere più adatto a bombardare i "cattivi" di turno d'un presidente democratico occidentale impedito da tanti lacci e lacciuoli. Pensiamo all’incerto presidente americano Obama o ai leaders d’Europa, talmente irresoluti da essere patetici. Nessuno di loro vuole urtare i propri elettori.

Perché si sa com’è ridotto l’Occidente. Diciamocelo con orgoglio: in questa sorta di piccolo Eden realizzato si è ormai "raggiunta e abbondantemente superata" la Perfezione del Logos, la Suprema Felicità. Tutto, ma anche il suo contrario, è a portata di mano, e per tutti. Il Bengodi di Calandrino, Bruno e Buffalmacco, una pacchia. Ma anche il disastro.

Qui, ritrovato Eldorado, vero Paradiso in terra, abbiamo le masse più snob del Mondo. Mica scemi: tutti vogliono essere eleganti, leggeri, futili, frivoli, ricchi, raffinati, superficiali, comodi, pigri e non-violenti. Ah, dimentiucavo, anche altruisti, come si vede in certi film americani edificanti che si danno alla Tv dei ragazzi nel pomeriggio. Però a pancia piena. Tranne, s’intende, che in ufficio, nell'economia e in famiglia, dove sono tutti cani rabbiosi e implacabili, uno contro l’altro armati con ogni mezzo. Ma in pubblico, no, che diamine.

Come ha detto il "buon" papa Francesco, "chi siamo noi" per giudicare, per condannare, per vendicarci, per togliere la vita, sia pure a quelli che ce la stanno togliendo? Bisogna capire tutti: anche gli islamisti fanatici (meglio chiamarli genericamente "terroristi", ché se no i signori in tuta nera e mitra ci querelano per razzismo, e coi giudici che abbiamo in Francia, Italia, Svezia ecc. saremo sicuramente condannati), insomma anche i terroristi avranno "le loro ragioni". Forse sono troppo poveri, come sospetta il buon papa Francesco? Però Bin Laden, che iniziò tutto, era miliardario in dollari. Oggi l'Isis ha il petrolio. O forse solo discriminati ed emarginati, si sa, sensibili come sono... Forse.

Ma noi, piuttosto, facciamo un po' di mea culpa "cristianamente", autoflagelliamoci. E' sicuramente colpa nostra. Anzi, analizziamo a ritroso la nostra Storia, quasi sicuramente gli avremo fatto qualcosa tra il Giurassico e il Neolitico; no piuttosto tra il XV e il XVII secolo, o prima, o dopo. Insomma, non cercate di sfuggire: qualcosa gli avremo fatto.

Così, come le Precieuses ridicules di Molière, tutti su questo palcoscenico si atteggiano a soft”, leggiadri, graziosi, simpatici, piacevoli, casuali e irresponsabili come piume al vento, anzi, di più, come bambini viziati, “Cool”. Freschi, anzi fresconi, direbbero a Roma.

Fatto sta che nessuno giustamente vuole più morire in guerra (se è per questo, neanche i Russi). Ma solo in automobile, o con l'alcol, il tabacco, gli eccitanti, il troppo cibo. E neanche far morire un criminale che ha deciso di far morire tutti. Tranne che in play-station... Questa sì, piace a tutti in modo morboso, in Occidente, in Russia e anche ai terroristi dell'Isis, che – si è appreso dallo spionaggio – comunicavano tra loro mediante messaggi su play-station. ).... Ma allora...

AGGIORNATO IL 26 NOVEMBRE 2015

05 novembre 2015

PASOLINI. L'inquieto intellettuale non conformista: uomo non mito, né santino.

SAN PASOLINI. Finite le celebrazioni di Pier Paolo Pasolini? Speriamo di sì, perché si cominciava ad averne abbastanza, fin quasi a provare una certa nausea: quel dolciastro che viene dall’ipocrisia, dal rito doveroso e stanco, dall’elaborazione del mito un po’ forzata.
      Sono passati quarant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, senza dubbio un intellettuale tra i più noti, ubiqui, anticonformisti e versatili dell’Italia contemporanea, uno che ha scritto moltissimo – una vera bulimia della scrittura – e sui più disparati argomenti, cosicché si possono trovare a sua firma le frasi più impensabili.
      Ma a differenza degli altri intellettuali aveva una particolarità: mettere sempre in gioco se stesso, il proprio essere, la propria corporeità e diversità, anche sessuale, anche politica, anche culturale. In questo ricordava certi esibizionismi di Pannella, anch’egli platealmente “senza pudore”.
      E ora giornali, radio e televisioni, senza contare il web, hanno dedicato alla sua figura, dopo averlo dimenticano per decenni perché contraddittorio e imbarazzante, e quindi “inutile” politicamente, molto, troppo spazio per non indispettire e insospettire. Tanto da generare perfino reazioni di rigetto e vere e proprie “stroncature” post mortem, o alla sua professione di regista cinematografico o all’intera sua figura di uomo e filosofo “pedagogista” o meglio educatore sociale. Una sorta di paradossale e insopportabile “moralizzatore depravato”, questa mi sembra di capire sia l’accusa più comune dei suoi detrattori. 
      Eppure, il solito conformismo dei media “progressisti”, forse per espiare i propri peccati, è sembrato operare anche nel caso Pasolini come una reazione metabolica, di adattamento culturale (stavolta fuori tempo massimo) al personaggio più anticonformista, anzi sulfureo. Così lo ha improvvisamente sopravvalutato a compensazione di antichi torti, insomma reso simbolo, mitizzato, trasformato in una sorta di icona perbenista del “politicamente scorretto”. Ma sempre comunque un politicamente corretto: il solito conformismo dell’anticonformismo artefatto.
      Non era mai piaciuto davvero né a Destra (figuriamoci), né a Sinistra (e come avrebbe potuto, con la Sinistra dogmatica e puritana di quegli anni?). Certo, era inevitabile nella società della “cultura” di massa fondata sulle notizie e lo spettacolo, che l’anticonformismo dell’uomo Pasolini, personaggio colorito e “maudit” che frequentava balordi e viveva pericolosamente, prevalesse sulle qualità dello scrittore, perfino agli occhi di giornalisti e intellettuali. E infatti, oggi è assodato che come scrittore sia stato molto sopravvalutato (come del resto Moravia): entrambi caduti quasi nel dimenticatoio tra il pubblico dei lettori.
      Ma a 40 anni dalla sua drammatica, sanguinosa, scomparsa, sembra che tutto sia cambiato. E dire che a parte la sottocultura conservatrice e reazionaria che lo odiava – anche se i suoi rari "intellettuali" apprezzavano certe sue fisime o giravolte considerate reazionarie (l'articolo sulle lucciole, i poliziotti ecc.) – l'intellighentzia autodefinitasi progressista, tranne ovviamente il gruppo Moravia-Siciliano che poi erano i suoi amici più stretti, non lo poteva soffrire, e anzi, dopo Valle Giulia ("Sto con i poliziotti figli del popolo, non con gli studenti figli di papà") prese a considerarlo un provocatore con idee incontrollabili, anche di destra. Stessa storia di Sciascia. E ovviamente scompigliando idee, ideologie e schieramenti con la massima confusione non poteva non garbare ai radicali. Sull'ambiguità culturale-ideologica del personaggio-simbolo (e sì, perché fu soprattutto un personaggio, qualunque cosa facesse) i critici specializzati nei vari campi toccati da PPP (poesia, letteratura in genere, filologia e linguistica, sociologia, politica, estetica, cinema ecc.) già hanno detto la loro.
      Accennavamo alle “stroncature” da insofferenza. Segnaliamo, perché eccentriche, solo due piccanti prese di posizione, addirittura iconoclastiche. Un regista dell’ultima generazione (Muccino) ha scritto su Facebook (ma ha poi cancellato il post) che, per quanto riguarda la regia cinematografica, la corazzata Pasolini è una boiata pazzesca, cioè più o meno "PPP era un regista dilettante senza una idea registica", che ha fatto "regredire non progredire la cinematografia italiana". Non posso obiettare, perché non esperto di cinema, ma avendo occhi per vedere, per quel po' che vidi dei suoi film, notai che la sua macchina da ripresa si muoveva spesso casualmente e disordinatamente come quella dei reporter da inchiesta giornalistica.
      Come se non bastasse, lo scrittore Gaetano Cappelli (a me sconosciuto, sicuramente per colpa mia) disegna su Facebook un bozzetto sulfureo, fulminante, dell'uomo, più che dell'artista. Abituato ai sonetti del Belli e alla satira, amante anch'io dei ritratti icastici e caustici (un mio piccolo hobby), ho apprezzato moltissimo. Un cammeo perfetto che qui riportiamo dopo avergli messo (law and order...) le maiuscole che mancavano, perché forse così il Nostro, evertendo la grammatica, si considera più eversivo (un vizietto provinciale ben noto, come le minuscole dei biglietti da visita di certi geometri di paese). Ma, attenzione ai permalosi, a quelli che prendono sempre tutto sul serio, in modo religioso: è satira, una specie di epigramma alla Marziale:
      «Ricorre oggi san Pasolini – scrive il Cappelli – il grande intellettuale e profeta italiano. Da giovane consegnò un compagno di scuola alla polizia fascista. Passò poi con i comunisti che gli avevano trucidato il fratello. Fu il primo a scagliarsi contro la cultura di massa – disprezzò i Beatles e la televisione stando sempre in televisione. Riuscì a fare l'apologia del comunismo in Russia negli anni 70, quando anche le pietre sapevano che schifezza era. Si scagliò contro il consumismo girando in Ferrari e posando in total Gucci. Oggi molte scuole gli sono dedicate. Egli infatti, Pasolini, amò molto i regazzini».
      Ma uscendo dalle provocazioni e dagli epigrammi satirici, che pure hanno una loro logica e devono rispondere a inesorabili leggi interne, di cui persone di mondo come noi, tanto più interessate alla satira, alla critica e perfino ai sonetti di GG. Belli, non si scandalizzano minimamente, vorremmo concludere con una sintesi più esauriente e meditata, che forse rappresenta meglio il “caso Pasolini”, quella scritta da Gianni Morelembaum Gualberto sulla sua pagina Facebook quando si è accorto del boom di rievocazioni mielose, spesso provenienti dalle reti radio-tv e dai giornali più improbabili: «Lo stavo notando, senza stupirmene più di tanto», scrive Gualberto. «È tutto un fiorire commosso di PPP di qua e di là: poesie, film, stralci di lettere, la mamma, il Friuli, le radici contadine, i figli dei poliziotti, i giovani borghesi: una marea di parole che, in fin dei conti, lo seppelliscono un'altra volta, anche se con delicata e ipocrita partecipazione. Tempo fa, pur non essendo un vedovo di Pasolini (la categoria più vicina che conosco è quella dei vedovi della Callas...), vedevo un breve stralcio da un suo documentario su Sabaudia e sulle radici dell'architettura fascista. Non ho potuto fare a meno di ammirare la lucidità dell'eloquio voltato verso il passato, all'indietro, verso quell'Italia pre-Donnarumma che non è stata capita nella sua umiltà e nelle sue fragilità, che è stata trasformata facendo aggio sulle sue più oscure pulsioni, ridotta a una maldestra parodia di una modernità distorta e senza radici. Nulla di quel che ci accade oggi è casuale»
      Ma, e il Pasolini “santo subito”? «Normale la canonizzazione di Pasolini – continua Gualberto – da parte di una Sinistra che lo ha a lungo osteggiato, dileggiato, ignorato e dimenticato. Tant'è che una parte della Destra (!!!) ha cercato per un periodo, con affabulatorio e sfacciato senso del raggiro, di appropriarsi delle sue spoglie cadute in un imbarazzato dimenticatoio. È l'amaro destino dei politicamente scorretti: non v'è nulla di più violento, sopraffatorio, razzista del politically correct. Pasolini è stato fra le sue prime e più illustri vittime. Nell'Italia di oggi non vi sarebbe posto per lui, se non – per l'appunto – come santino, come festivo lavacro di alcuni rimasugli di coscienza».
      Anche la cultura di sinistra più blasonata oggi - come pochi ieri osavano - ne prende le distanze. Naturale che critici seri ed esigenti, primo tra tutti Angelo Guglielmi, gli fossero già allora contrari. E a quei tempi di “dittatura” intellettuale del trinomio Moravia-Pasolini-Siciliano, la cosa non era affatto facile. A criticare Pasolini o Moravia, a parte il caso dell'inattaccabile Angelo Guglielmi, critico noto come progressista, cultore delle avanguardie e poi direttore di Radio-3 della Rai, c’era il rischio di esser tagliati fuori da editoria, giornalismo e tv, oppure d’esser definiti fascisti.«Moravia aveva scritto un solo bel romanzo, Gli indifferenti, e lo aveva fatto inconsapevolmente. Pasolini anche peggio. Ragazzi di vita era antropologia linguistica e Una vita violenta era tremendo», ha dichiarato Guglielmi in un’intervista a Malcom Pagani sul Fatto Quotidiano (29 marzo 2016). «Non a caso il terzo capitolo della trilogia romana, previsto, non vide mai la luce. Moravia si accorse del fallimento letterario e lo trascinò con sé in India».
      Eppure, lei salvò Petrolio, obietta l’intervistatore. «L’unico vero romanzo» ha ammesso Guglielmi. «Un insieme di riflessioni, pezzi di giornale, note di cronaca. In Petrolio, non facendosi condizionare dai limiti narrativi, Pasolini fece finalmente entrare il mondo nelle pagine». Però, un romanzo incompleto. «Com’era incompleto il Pasticciaccio. Un merito più che una colpa. Il luogo in cui Pasolini ha risolto la sua ambizione – diventare una stessa cosa con la realtà – è stato il cinema. Salò è un film incredibile. Pezzi di corpi, lembi strappati, sofferenza. Vedevi lo scempio. Ti squassava. Come nel neorealismo di De Sica e Rossellini che amavamo perché ti faceva toccare le cose, il Pasolini da set era materialista. Senza i crepuscolarismi, senza il naturalismo di stampo ottocentesco, i vibranti slanci di retorica fasulla, l’intimismo sgradevole che albergava in tutto quello che consideravo come la peste: Metello di Pratolini o La ragazza di Bube di Cassola».             
      Qualcuno sostiene – insinua Pagani – che in Salò Pasolini abbia prefigurato l’addio. «Non credo alle prefigurazioni» risponde Guglielmi. «Gli è capitato di andarsene in quel modo, ma viveva in maniera pericolosa e non mi meravigliai. Poteva accadergli qualsiasi cosa, persino di non morire»

AGGIORNATO L'8 APRILE 2016

4 NOVEMBRE: celebra Risorgimento e Unità (che ci piacciano o no le guerre).

Era la “festa della Vittoria”, ma è stata degradata da politicanti demagoghi, per fare bella mostra di sé come amanti della pace (e chi non l’ama? perfino i generali dentro di sé...) a “festa delle Forze Armate”. Così, la giornata del 4 novembre 1918 è poco o per niente conosciuta. Eppure rappresenta una data storica, che dovrebbe essere giudicata secondo il suo tempo, non con gli occhi di oggi, come molti fanno. È la commemorazione del giorno della vittoria dell’Italia nella I Guerra Mondiale (1915-1918, ma era scoppiata già nel 1914), insieme con gli alleati Gran Bretagna (con tutto il suo Commonwealth: Canada, Australia, Nuova Zelanda, India ecc.), Francia, Russia, perfino Stati Uniti e altri, contro Germania e Austria-Ungheria. Era stato l’attentato di Sarajevo, in Serbia, in cui era morto l’Arciduca d’Austria, con conseguente dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, a scatenare tutta una catena di dichiarazioni di guerra, essendo allora gli Stati legati tra loro da trattati di alleanza e intervento in caso di guerra. Così la guerra diventò ben presto mondiale.
Per l’Italia la sofferta vittoria del 4 novembre – famoso il Comunicato del generale Diaz, scolpito in decine di lapidi – aveva una valenza in più: finalmente erano compiute l'Unità e l'Indipendenza dell'Italia, gli scopi del Risorgimento. Comprese Trento e Trieste e un pezzo della Dalmazia, dove si parlava italiano da sempre. Perché in Italia è stata la lingua comune a trainare l'unità.

La prima guerra mondiale fu certamente un'immane tragedia, accettata col fatalismo e il senso del dovere eroico dell’Ottocento (che era ancora quello dell’uomo dell’Antichità), per il quale contavano gli ideali o almeno le questioni di principio, le alleanze, la parola data, le ripicche, le contrapposizioni tra regnanti, non certo le vite umane, usate – come già si diceva allora cinicamente – come “carne da cannone” e pretesto per potersi sedere poi al tavolo delle trattative di pace. Del resto, nessuna Nazione l'aveva immaginata così lunga e disastrosa: era la prima volta nella Storia.
Ma questo è il senno di poi. Non c’è dubbio che esistevano per ogni Nazione motivazioni ideali, razionali e passionali, che in gran parte la giustificavano. Tant'è vero che intervennero perfino gli Stati Uniti, che non c'entravano niente, a battersi in nostro aiuto, e con organizzazione, entusiasmo e generosità unici.
A maggior ragione “dovevamo” intervenire noi Italiani. Non dimentichiamo che l'Austria, nonostante una machiavellica alleanza recente che durò fino al 1914 (la Triplice), era il nostro “nemico” storico: aveva con pugno di ferro, con violenza ottusa e burocratica, con una inumanità senza pari, tiranneggiato mezza Italia fin dal 1700 per oltre un secolo, impedendo ogni libertà politica e religiosa, incarcerando e uccidendo il fior fiore della nostra gioventù intellettuale. E, anzi, il Risorgimento stesso era nato contro l’Austria, e solo questo obiettivo comune metteva d’accordo liberali di destra, di centro e di sinistra, come diremmo oggi.
L’Austria, quindi, “doveva” pagare: noi avevamo il dente avvelenato. E infatti pagò duramente. Bellissimo e scritto con crudele ironia il passo del Proclama della Vittoria del maresciallo Diaz: "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza". Anche se alla sua sconfitta l’Italia aveva contribuito solo in parte, l'Austria fu implacabilmente colpita dalla Nemesi storica: ridotta per sempre da Grande Potenza mondiale al rango d'un piccolo Paese d'importanza regionale.
Certo, è normale che gli Italiani fossero divisi anche allora. I disastri di una guerra vasta e “tecnologica” (già i primi carri armati, aerei, cannoni a lunga gittata, perfino i gas tossici...) erano intuibili. Anche i Liberali, destra e sinistra, i grandi protagonisti del Risorgimento, erano divisi al loro interno: alcuni (come Croce e Giolitti) erano neutralisti. Ma, ecco la differenza: una volta deciso l'intervento parteggiarono con dignità e senza riserve per l'Italia.

Non è stupido nazionalismo in ritardo, come si crede ottusamente in Italia oggi, ricordare quella data: è dignità e amor proprio tipici delle grandi Nazioni, i cui cittadini colti e maturi sanno che valgono solo in quanto hanno dietro di sé una Storia (e che Storia abbiamo noi Italiani !) pur con le sue luci ed ombre. Basta vedere con quanto orgoglio Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia ricordano le loro date.
Certo è facile giudicare con gli occhi di oggi. Anche la Grande Guerra, come le guerre degli Ateniesi e degli antichi Romani, va rapportata a quei tempi, a quella mentalità. E' comprensibile per chi non ama la libertà risultare indifferente alle rievocazioni di eventi passati e non battersi mai per nessun ideale, neanche a parole, oggi che in tempi di diffusa liberal-democrazia in Europa e nel Nord-America le armi cerchiamo finalmente di non usarle più. Però dobbiamo essere fieri di noi stessi e della nostra Storia, senza interpretarla con le categorie o gli stereotipi di oggi. Altrimenti, non potremmo neanche studiare e apprezzare la storia di Roma antica, non accettando per un distorto principio “politicamente corretto” la mentalità guerriera degli Antichi (ma allora in questo caso, per coerenza dovremmo vivere nelle caverne della Preistoria).
Solo persone senza dignità si vergognano delle proprie origini, della propria Storia, cioè di se stessi, specialmente quando si tratta di una Storia analoga a tutti i popoli del Mondo, ovvero di comportamenti al loro tempo “universalmente accettati” (diverso, quindi, il caso del Nazismo e del Comunismo sovietico, o di certi crudeli antichi satrapi d’Oriente, che scandalizzarono già i loro contemporanei).
Non per “malvagità”, che è un vizio che non esiste, ma sempre per scarsa intelligenza e quindi poca cultura, si rinnega la propria e l’altrui Storia. Perché anche noi Italiani esistiamo solo se abbiamo l'intelligenza delle nostre origini e delle evoluzioni della nostra Storia. Così scopriamo che non siamo solo i popoli molli, futili, viziati dalle comodità, dal benessere e dall'ozio di oggi; ma che nel nostro passato abbiamo anche sofferto e lottato duramente per mantenerci liberi e vivi. Così, del resto, è nata e si è rafforzata la Civiltà. La libertà, cioè la vita, si conquista e si difende lottando. Il benessere e la libertà di oggi - e non poteva essere altrimenti - ci vengono dalle antiche vittorie dei Romani e anche un poco da quelle più recenti, quando ci sono state Quelle vicende atroci, quelle morti, quelle lotte, come tutto il “brutto” e il “male” che esiste al Mondo, sono in realtà le premesse e le condizioni della vita attuale, ovvero permettono oggi a un giovanissimo indifferente a tutto di stare comodamente in poltrona, magari per giocare con uno smart-phone, dichiarandosi "contro tutte le guerre".